menú principal

volver al programa provisional

X Coloquio Internacional de Geocrítica

DIEZ AÑOS DE CAMBIOS EN EL MUNDO, EN LA GEOGRAFÍA Y EN LAS CIENCIAS SOCIALES, 1999-2008

Barcelona, 26 - 30 de mayo de 2008
Universidad de Barcelona

IL TERRITORIO ATTRAVERSO LE CARTE GEOGRAFICHE: UN MODELLO DIDATTICO PER LA SCUOLA DI BASE

Lina M. Calandra
Ricercatore in Geografia.
Università degli Studi dell’Aquila (Italia)
calandra@cc.univaq.it

Il territorio attraverso le carte geografiche: un modello didattico per la scuola di base (Riassunto)

La carta può avere una sua autonoma valenza conoscitiva e, dunque, anche educativa nella scuola di base? Le argomentazione per una risposta in senso negativo sono ormai note. Più difficile, invece, è tentare di illustrare come e perché, in un processo di apprendimento, la carta geografica possa rappresentare qualcosa di più di un semplice strumento di supporto alla didattica per la localizzazione e la visualizzazione dei luoghi e dei fenomeni studiati. Una possibilità in tale direzione è offerta dall’approccio alla cartografia come espressione del controllo cognitivo e simbolico (denominazione) della realtà da parte dell’uomo. In effetti, a partire dall’idea che la carta costituisce una estensione del processo di denominazione, è possibile ipotizzare che la carta sia in grado di produrre funzioni verbali e nominali e, grazie a queste, di produrre proposizioni capaci di specificare a più livelli i luoghi cartografati. Per comprendere come la carta produce proposizioni, bisognerà esplicitare come sul documento cartografico si manifestano i nomi (soggetto e predicato) e come agisce il verbo.

Parole chiave: cartografia, territorio, didattica


Territory through geographic maps: a didactic model for Primary and Secondary School (Abstract)

Can the geographic map have its autonomous cognitive value and, therefore, also an autonomous educational value in Primary and Secondary School? The arguments for a negative answer are well known by now. More difficult [on the other hand, it] is trying to illustrate how and why, in a learning process, the geographic map can represent something more than a simple didactic tool for localizing and visualizing the places and phenomena studied. A possibility in such direction is offered by approaching cartography as an extension of man’s cognitive and symbolic control over reality (naming process). From the idea that the map is an extension of the naming process, it is possible to suppose that the map is able to produce verbal and nominal functions through which it elaborates the propositions that specify the charted places at several levels. To understand how the map produces propositions, it will be necessary to clarify how names (subjects and predicates) appear and how verbs act in the cartographic document.

Key words: cartography, territory, didactics



Nell’attività didattica della disciplina geografica, il ricorso alla cartografia costituisce una prassi consolidata e per certi versi scontata nella scuola di base. Non c’è libro di testo che, oltre a riportare carte di ogni tipo e dimensione, non dedichi un capitolo più o meno ampio e dettagliato alla cartografia. Allo stesso modo, non c’è insegnante che nella sua pratica educativa non si serva della carta geografica. Nonostante ciò, l’approccio scolastico alla cartografia e alla carta – quanto meno nel contesto italiano – è alquanto riduttivo e povero, quando non addirittura fuorviante e/o errato. Così, per esempio, non di rado la carta geografica nei libri di testo italiani viene presentata come una “raffigurazione oggettiva della realtà”, quasi la carta equivalesse alla realtà. Certo, non che una tale impostazione nasca dal nulla e non si rifaccia a fondamenti epistemologici (dal determinismo al possibilismo, al funzionalismo), per la verità oggi superati, per esempio, dall’approccio proposto dalla geografia critica[1]. Sta di fatto, però, che tale impostazione non dà conto della natura del tutto artificiale della visione cartografica, tralasciando di esplicitare una delle più importanti caratteristiche della carta, cioè il suo essere linguaggio e dunque simbolizzazione e re-invenzione della realtà. A ciò, paradossalmente, fa da contrappunto il fatto che nella pratica didattica la carta geografica si riduca quasi sempre a semplice “strumento del geografo” alla stregua di una bussola e venga quasi esclusivamente utilizzata, nel corso degli studi, al solo fine di localizzare e visualizzare i luoghi e i fenomeni che mano a mano vengono affrontati. Nei libri di testo italiani si dedicano alla cartografia solo le pagine iniziali e la modalità attraverso la quale si presentano le carte geografiche è essenzialmente descrittiva e classificatoria (Squarcina, 2007). Sfogliate, poi, queste prime pagine, le carte, che continuano per tutto il corso degli studi ad essere presenti nel discorso educativo, vengono tuttavia proposte quasi esclusivamente come supporto didattico.

Come osserva J. Lévy, “sebbene nel mondo scientifico e tecnico si verifichino certe evoluzioni in direzione di una diversificazione delle immagini cartografiche, la formazione degli utilizzatori di questi prodotti non sembra progredire nel sistema educativo, nei media o altrove” (Lévy, 2007, p. 42-43). Così, più in generale, si può affermare di star assistendo ad un paradosso: si producono sempre più carte che tuttavia si interessano sempre meno di chi sono gli utilizzatori, ciò che appare particolarmente vero per la cartografia scolastica.

Allo stesso tempo, le implicazioni ideologiche sul piano educativo sono diverse perché è più che plausibile aspettarsi che se non si forniscono le chiavi di lettura per penetrare le capacità seduttive della carta in grado di plasmare la percezione degli spazi, si finisce per far passare per “veri” e “incontestabili” messaggi e significati che sono invece il frutto di scelte e soluzioni convenzionali e discrezionali (Boria, 2007).

A partire da queste rapide considerazioni, la questione che si intende porre è la seguente: è possibile, in un percorso di apprendimento in geografia nella scuola di base, arrivare alla conoscenza del territorio e delle logiche sociali che ne motivano la sua stessa costituzione, attraverso la carta geografica? In altri termini: si può immaginare la carta come qualcosa di più di un semplice strumento di supporto alla didattica, qualcosa con una sua autonoma valenza conoscitiva e, dunque, educativa?

Tale interrogativo nasce dalla consapevolezza che la rappresentazione cartografica, in ogni caso, costituisce un’impresa conoscitiva collettiva. Più specificatamente, la carta geografica rappresenta una delle modalità attraverso le quali l’attore sociale esprime la sua capacità di governare cognitivamente e simbolicamente la realtà. In tal senso la carta costituisce una meta-geografia che si realizza nel momento in cui dei luoghi denominati vengono riportati sul “foglio” secondo regole e procedure specifiche; una concettualizzazione del territorio che si produce attraverso la traslazione e l’estensione di quel processo – la denominazione – attraverso il quale l’uomo, compattando nei nomi di luogo (designatori) descrizioni e concetti, costruisce un sapere territoriale funzionale al suo progetto sociale, e dunque alle sue esigenze materiali, simboliche e organizzative (Turco, 1988)[2]. Ciò significa che, per rispondere all’interrogativo che ci si è posti, è essenziale capire quali sono le specifiche modalità cartografiche di esprimere e tradurre tale sapere territoriale. Non si tratta tanto di chiedersi cosa la carta rappresenta impostando, come farebbe F. Farinelli (2003), il discorso in termini antinomici (la carta è un’immagine della realtà o è la realtà che si costruisce sull’immagine cartografica?). Piuttosto, si tratta di capire come la carta, in quanto rappresentazione, traduca non solo un modo di vedere il mondo, ma anche di produrre e utilizzare il territorio e costituisca nel contempo un linguaggio per poterne parlare. Approcciando la questione in questi termini, è possibile tentare di sviluppare qualche argomentazione in favore della possibilità di riconoscere alla carta una sua valenza conoscitiva, e dunque educativa, senza per questo prescindere dalle considerazioni che negano tale possibilità.

Perché la carta “non può” avere una sua autonoma valenza conoscitiva ed educativa

Le risposte in senso negativo alla questione sulla possibilità di pervenire ad una conoscenza del territorio attraverso la sua rappresentazione cartografica sono ormai note. Si può addurre infatti tutta una serie di argomentazioni che vertono essenzialmente sulla considerazione che essendo la carta geografica una rappresentazione convenzionale, geometrica, approssimata, ridotta, parziale ecc. ecc. della realtà, essa è per definizione incapace di dare conto della complessità connaturata in qualunque contesto territoriale. Così, per esempio, il ricorso ai principi euclidei che riducono la Terra a spazio (e misura), escluderebbe la possibilità di accedere attraverso la carta alla natura dei luoghi, ossia alla poliedricità di significati che ogni tratto della superficie terrestre denominato incorpora e veicola ai membri del gruppo umano che rende quel luogo punto di arrivo e nel contempo di partenza delle proprie pratiche di vita. I due principali procedimenti matematici alla base dell’elaborazione cartografica – la riduzione in scala e la proiezione – sono in effetti all’origine di una trasposizione dei luoghi, nello spazio geometrico della carta, in forma e posizione[3]. Per di più, sia la scala che la proiezione, presuppongono l’assunzione di un punto di vista unidirezionale su uno spazio che si postula come continuo, omogeneo e isotropo. Per quanto riguarda più in particolare la proiezione, basterà ricordare come “per Wittgenstein la proiezione è una maniera di cambiare il significato di qualcosa attraverso il cambiamento della tecnica delle sua rappresentazione” (Farinelli, 2003, p. 91). In altre parole, la proiezione cartografica creando lo spazio di qualcosa che a sua volta è anch’esso spazio (l’estensione terrestre), inesorabilmente istituisce un salto logico (metafora) e quindi conoscitivo tra lo spazio della carta e lo spazio terrestre. La scala, poi, più specificatamente implica la questione della selezione e dell’interpretazione, che non ha a che fare solo con il maggiore o minore dettaglio della rappresentazione, con il formato, la forma e il numero dei fenomeni rappresentati. Infatti, il meccanismo della scala, come ricorda Farinelli richiamando Olinto Marinelli, ha ripercussioni anche e soprattutto “sul livello di concettualizzazione (sull’idea che noi ci facciamo) del fenomeno cartografato” (Farinelli, 2003, p. 128). In effetti, l’idea che ci si fa della cosa, in base al meccanismo della scala, discende dalla concatenazione logica (metonimia) che deriva dal mantenimento del rapporto lineare tra due punti.

Allo stesso modo, la convenzionalità della carta espressa per esempio dall’orientamento del foglio e dall’irretimento dello stesso nella griglia del reticolo geografico, escluderebbe al soggetto conoscente la possibilità di cogliere un’altra fondamentale caratteristica della geograficità terrestre. Si tratta della perpetua fluidità e mobilità attraverso le quali nella concreta esperienza conoscitiva del reale si definiscono i centri, i punti di vista, le prospettive, le transcalarità, i fuochi di osservazione che possono compiere in più direzioni giri di 360°. Nella carta, invece, il territorio risulta immobilizzato, e con l’oggetto della conoscenza si immobilizza in un certo senso anche il soggetto conoscente. Come dire che nella carta avviene per eccellenza il trionfo della separazione postulata da Cartesio tra natura e cultura, tra oggetto e soggetto. Separazione che decreta la fissazione, insomma, la morte di entrambi. Sulla carta tutto risulta già pre-orientato (c’è un sopra e un sotto, una destra e una sinistra) e pre-ordinato in base al sovrano principio della localizzazione univoca di ogni luogo della carta e del mondo, per cui ad ogni punto della carta corrisponde un solo ed unico punto della Terra. E dalla localizzazione discende poi la posizione reciproca dei luoghi, la loro distanza, secondo una prospettiva assolutamente sincronica della visione. La sincronia della visione caratterizza, d’altra parte, anche la natura segnica (o simbolica che dir si voglia) della rappresentazione, rispetto alla quale la carta sconta evidenti limiti conoscitivi non riuscendo a risolvere la questione della natura del luogo, del senso dei luoghi, dell’esigenza sempre più pressante di “costruire una mediazione fra saperi globali e saperi locali”. Il punto è che i segni cartografici sono segni di qualcosa che a sua volta è già segno, ossia la parola che denomina il mondo. Allo stesso modo e parallelamente, la carta è il dove di un dove (il luogo) che è altrove (sulla Terra). Inoltre, sia la parola sia il luogo prediligono l’asse temporale, l’asse diacronico per dispiegarsi, mentre il segno e il dove cartografici operano nel senso della sincronia e della spazializzazione. Riguardo a quest’ultima, del resto, non è tanto la carta, quanto l’intero sapere geografico che assume, appunto, come propria norma disciplinare la spazializzazione. Come sottolinea A. Turco ricordando l’opera di Adalberto Vallega[4], ciò ha almeno due conseguenze: “a) inversione della relazione gerarchica tra spazio e tempo; non è più il tempo a essere decisivo rispetto allo spazio, ma è lo spazio a essere decisivo rispetto al tempo; b) ripudio dell’ordine come sequenza” (Turco, 2007, p. 990)[5].

Ad ogni modo, la carta si rivela il regno del dove, del topos aristotelico che nel dare la localizzazione dà anche la forma. Ora, il punto è proprio questo: poiché l’analisi formale – e dunque topografica e planimetrica – si rivela insufficiente al fine di comprendere e spiegare il mondo, anche il “dispositivo cartografico” perderebbe tutta la sua valenza ontologica. “Proprio perché alla causa (l’azienda, il complesso dei fattori produttivi e dei rapporti di produzione) sostituisce l’effetto (il complesso edilizio, la casa)”, è impossibile a partire dalla carta “inferire il processo dalla forma” (Farinelli, 2003, p. 129). Si perderebbe in pratica nella rappresentazione cartografica la relazione tra la “cosa estesa” e la “cosa pensante”, si perderebbe paradossalmente proprio l’ecumene (Berque, 2000), ossia ciò di cui la carta dovrebbe invece costituire una visualizzazione, una rappresentazione.

Allargando il discorso dalla carta all’intera conoscenza geografica, M. Quaini è esplicito in tal senso quando afferma che in forza della “dittatura cartografica” e del suo “progetto implicito” se “il sapere geografico diventa, ‘attraverso un’operazione comune ad ogni mistificazione, il contrario stesso del suo titolo, un mezzo di accecamento’ e quanto di più lontano si possa immaginare da quella scrittura della terra di cui gli uomini sono gli autori, ancor più evidente risulta il fatto che, con un’impostazione di questo genere, il problema di far interagire saperi esperti e saperi contestuali o locali neppure si pone” (Quaini, 2007a, p. 20). Il problema dell’interazione tra saperi esperti e contestuali, del resto, rinvia a quello più ampio del rapporto tra globale e locale e, in definitiva, alla coppia spazio/luogo (Turco, 2003). Questa, in particolare, letta in termini antinomici, porterebbe alla conclusione che essendo la carta spazio e spazializzazione, essa è incapace di cogliere il luogo, scontando nei confronti del territorio grossi limiti, tanto più evidenti quanto più si tenta di dare conto di dimensioni sfuocate, dinamiche quali per esempio quella paesistica (Quaini, 2006). Un discorso analogo vale anche nel caso della rappresentazione cartografica di contesti ambivalenti, poliedrici, disarticolati risultanti dall’incontro/scontro di logiche sociali lontane e profondamente diverse tra loro, come nel caso della cartografia coloniale (Casti, 1998a, 2000, 2007; Masturzo, 2007).

Insomma, stando così le cose la carta sarebbe incapace di produrre una conoscenza del territorio oggetto della rappresentazione perché essa in realtà non lo rappresenta affatto: l’unica cosa su cui effettivamente la carta può dire qualcosa è il modo attraverso il quale essa costruisce immagine e discorso. Il focus dunque si sposta sulla carta come linguaggio e sul funzionamento di tale linguaggio. Del resto, solo approcciando la carta come linguaggio, si rivela la possibilità di ricondurre la rappresentazione spaziale alla “narrazione dei luoghi”, infatti, “il concetto di linguaggio più facilmente si inscrive nella pratica storica, […] secondo Harley, in quanto «spinge a cercare dati empirici tanto su aspetti come i codici e il contesto della cartografia quanto sul contenuto inteso in senso tradizionale» […] Solo sovrapponendo ai luoghi le narrazioni (e i toponimi che spesso le rivelano), i territori, i paesaggi e i giardini incorporano le tradizioni e la storia e le società avviano la costruzione dinamica delle identità” (Quaini, 2007b, p. 173).

Perché la carta “può” avere una sua autonoma valenza conoscitiva ed educativa

Immaginando, allora, di voler dare una risposta positiva all’interrogativo che ci si è posti circa la possibilità di pervenire ad una conoscenza del territorio attraverso la sua rappresentazione cartografica, sono altre le argomentazioni che si possono addurre. Queste, come si è detto, avranno a che fare con il linguaggio e il funzionamento cartografici.

A partire dall’osservazione che la carta è il regno del dove, è possibile sviluppare ragionamenti a sostegno della valenza conoscitiva, e di riflesso educativa, della rappresentazione cartografica. In effetti, il punto è che indicare dove le cose sono, porta a dire anche che cosa sono (Berque, 2000). Il mondo (e il luogo), del resto, non è che il prodotto della relazione tra l’essere (topos) e lo stare (chora). Il luogo, in pratica, che si origina da una posizione, non ha natura cosale: “esso si implementa non tanto attraverso una predicazione cosale (il luogo non si individualizza in base ad «oggetti» che ne costituirebbero attributi), bensì attraverso una predicazione eminentemente condizionale. Con altre parole, la località diventa luogo (topogenesi) grazie ad una pratica (funzione) e grazie alle «condizioni» che si creano, si stabiliscono, si modificano, si distruggono per continuare a svolgere quella pratica o per attivarne altre” (Turco, 2008a). Così, l’analisi cosale, ossia l’analisi degli oggetti geografici, dei luoghi a partire dalla forma e dalla consistenza fisica, è solo uno dei livelli d’indagine della realtà geografica quanto di quella cartografica (Turco, 2004b). Più profondamente, infatti, l’indagine dei luoghi può riguardare anche il livello dei predicati, ossia delle caratteristiche funzionali, pratiche dei luoghi, e il livello delle predicazioni, ossia dei processi che hanno condotto storicamente alla formazione dei predicati (Turco, 2008b).

Certo, il problema è capire se e come nella carta ha modo di manifestarsi la relazione nel contempo ecologica, tecnica e simbolica dell’umanità con l’estensione terrestre, ossia hanno modo di esprimersi i predicati dei luoghi e ancor di più hanno modo di esplicitarsi le predicazioni. Perché la carta cambiando lo spazio, il dove delle cose, cambia anche il modo di vederle, cambia in sostanza il modo “di connettere le cose a un tempo allo sguardo e al discorso” (Foucault, 1966, ed. italiana 2006, p. 147). Allora, piuttosto che chiedersi cosa la carta rappresenta, probabilmente conviene interrogarsi sul come essa costruisce immagine e discorso per arrivare ad individuare la cosa rappresentata.

E qual è dunque il modo specifico della carta di connettere le cose allo sguardo e al discorso?

Intanto, la carta opera, per il tramite del suo supporto – il “foglio”, che sia di carta o che sia lo schermo di un computer – un allontanamento delle e dalle cose, rendendole in tal modo rappresentabili. C. Raffestin vede proprio nella distanza e nell’assenza della realtà l’unica possibilità per la rappresentazione – e dunque per la conoscenza – di darsi e realizzarsi (Raffestin, 2005). In secondo luogo, se come argomenta Foucault la rappresentazione sta al pensiero, e dunque alla conoscenza, come la proposizione sta al linguaggio[6], si può tentare di includere nella similitudine la carta. A tal fine, come prima cosa, bisognerà esplicitare cos’è una proposizione rispetto al linguaggio: “le funzioni del linguaggio sono ricondotte ai soli tre elementi indispensabili per formare una proposizione: il soggetto, il predicato e il loro nesso. D’altra parte, il soggetto e il predicato hanno identica natura dal momento che la proposizione afferma che l’uno è identico o appartiene all’altro; essi possono dunque, in certe condizioni, scambiare le loro funzioni. L’unica ma decisiva differenza è quella manifestata dall’irriducibilità del verbo: «In ogni proposizione» dice Hobbs «vi sono tre cose da considerare: cioè i due nomi, soggetto e predicato, e il nesso o la copula. I due nomi eccitano nella mente l’idea d’una sola e stessa cosa, ma la copula fa nascere l’idea della causa per cui questi nomi sono stati imposti a questa cosa». Il verbo è la condizione indispensabile ad ogni discorso: e là dove esso non esiste, almeno virtualmente, non è possibile dire che vi sia linguaggio” (Foucault, 1966, ed. italiana 2006, p. 109). Allora, al fine di includere la carta nella similitudine, si può ipotizzare che essa sia in grado di produrre funzioni verbali e, grazie a queste, elaborare proposizioni.

Ora, per rispondere alla domanda sulla specifica modalità cartografica di connettere le cose allo sguardo e al discorso, si può affermare che, dal punto di vista del discorso, la carta svolge funzione verbale, instaurando la relazione, il nesso di causalità tra le cose rappresentate; mentre dal punto di vista dello sguardo essa agisce codificando in segni visibili i nomi (soggetto e predicato).

A questo punto, dunque, si tratta di capire, nel linguaggio cartografico come si manifestano i nomi e come agisce il verbo, partendo dall’idea, già esplicitata, di carta geografica come espressione del controllo cognitivo e simbolico (denominazione) che una società applica sulla realtà al fine di assicurarsene il governo in funzione di una qualche prassi. In tale prospettiva, la carta è sia un prodotto che una condizione della dinamica conoscitiva che è alla base di qualunque processo di territorializzazione. Pertanto, la carta in quanto linguaggio può essere pertinentemente interpretata solo alla luce del contesto sociale e storico nella quale essa viene realizzata.

In tale direzione, e tenendo sempre presente la finalità educativa che ci si propone di perseguire attraverso la cartografia, si potrebbe immaginare un modello concettuale per la problematizzazione del sapere cartografico che ruoti sull’idea di carta come sistema di segni codificati al fine di trasmettere un messaggio. Ma dal momento che “la carta non può disporre in se stessa di punti d’appoggio sistematici e illimitati nel volume per sostenere e sviluppare i suoi ragionamenti” (Lévy, 2007, p. 44), ciò che diventa pertinente soprattutto in funzione didattica è fornire gli strumenti e i dispositivi di traduzione del linguaggio cartografico che tuttavia non riguardano solo la cartografia in sé, ma in una visione più generale, hanno a che fare con l’intero sapere geografico e le modalità di produzione di tale sapere.

Il modello concettuale per la problematizzazione dell’approccio alla cartografia, soprattutto in prospettiva didattica, può essere schematizzato come nella figura 1 nella quale sono ben evidenziate la funzione verbale (per il tramite della topografia e della topologia) e la funzione nominale che si realizza nella codificazione in segni cartografici dei contenuti informativi dei nomi di luogo, in particolare di quelli concreti.

Figura 1
La carta geografica come linguaggio

Fonte: Elaborazione propria

Più nel dettaglio, per quanto riguarda i nomi, innanzitutto bisogna specificare che non di tutti i nomi si tratta, ma solo di quelli – i designatori, appunto – specificatamente deputati alla designazione dei luoghi, sia essi astratti, immaginari o concreti. In secondo luogo, prima di arrivare a comprendere come i designatori si manifestano nella carta, va precisato che nella rappresentazione non è tanto, o meglio soltanto, il designatore in quanto segno (ossia parola) a palesarsi, ma soprattutto il contenuto informativo, denotativo e connotativo, in esso racchiuso. Tale contenuto può sostanzialmente essere di tre tipi: puramente descrittivo-referenziale (referenzialità), a carattere prevalentemente storico-culturale (simbolismo) e a carattere prevalentemente pratico-organizzativo (performatività)[7]. Al fine di comprendere il linguaggio cartografico è rilevante capire come i contenuti informativi – descrittivi, narrativi, esplicativi – insiti nel designatore di un qualunque luogo, vengono codificati cartograficamente per assumere funzione nominale (nel caso dei luoghi concreti) o verbale (nel caso dei luoghi astratti e immaginari).

Il processo di trasposizione dei contenuti informativi racchiusi nei designatori riferiti ai luoghi concreti, è piuttosto complesso, primo perché tali designatori possono incorporare allo stesso tempo più tipi d’informazione, oltre a quello di carattere descrittivo-referenziale che si specifica a livello denotativo. In secondo luogo perché i codici attraverso cui può avvenire la traduzione di tali contenuti informativi in segni cartografici sono multipli:

1) il codice linguistico, in base al quale il designatore sulla carta diventa “parola scritta”;

2) il codice figurativo, in base al quale il contenuto informativo del designatore viene tradotto in “simboli grafici” (punti, linee e/o aree) o “simboli iconici”;

3) il codice numerico, in base al quale il designatore esprime il suo contenuto informativo attraverso i “numeri” (misure);

4) il codice cromatico, in base al quale i significati del designatore si traducono in “colori”.

Naturalmente, per una stessa informazione una codificazione non esclude le altre; al contrario, nella carta geografica spesso uno stesso contenuto viene tradotto in più segni contemporaneamente, il che determina una espansione e al tempo stesso una specificazione di tale contenuto informativo.

Più nello specifico, si può precisare che a ciascun codice pertiene la capacità di tradurre e enfatizzare, sebbene non in maniere esclusiva, un determinato tipo di informazione. Così, la codificazione linguistica, che attribuisce visibilità al designatore attraverso la parola scritta, realizza sicuramente un potenziamento della referenzialità (posizione, forma, dimensione), ma soprattutto delle significazioni storico-culturali (simbolismo) della denominazione attraverso l’istituzione all’interno del documento cartografico di: a) una “tipologizzazione” dei luoghi in base alla quale si cristallizzano le differenze (per esempio luoghi naturali ≠ luoghi antropizzati); b) una “gerarchizzazione” dei luoghi sulla base di un criterio di valore (per esempio, in base all’ordinamento amministrativo, il capoluogo di regione è più importante del à capoluogo di provincia che a sua volta è più importante del à comune).

Il codice figurativo, poi, tramite il diverso utilizzo di simboli grafici (punti, linee, aree), realizza un incremento della referenzialità particolarmente efficace perché capace di espandere, con un solo segno grafico, descrizioni riguardanti allo stesso tempo posizione, localizzazione, forma, dimensione, appartenenza. Inoltre, il codice figurativo, tramite l’utilizzo di simboli iconici (per esempio, il “campanile” su una carta turistica per indicare una chiesa da visitare; o “forchetta e coltello” per indicare un ristorante), ha la capacità di estendere anche la connotazione simbolica (valore, importanza attribuiti ad un luogo) e performativa (utilità e funzione dei luoghi).

Ancora, il codice numerico permette di potenziare le informazioni pratiche contenute nei designatori (performatività) in quanto il numero esprime la capacità tecnica di quantificare fenomeni e proprietà. Anche il codice cromatico, infine, rappresenta soprattutto una estensione della performatività particolarmente efficace in quanto il cromatismo può realizzare un potenziamento del contenuto tecnico-pratico (es. carta dell’uso dei suoli) e/o di quello organizzativo (es. carta politico-amministrativa).

Tutto ciò, sebbene ci dica già molto circa la possibilità del documento cartografico di incorporare l’ordine del mondo che passa attraverso la costituzione linguistica del territorio, non basta a capire come la carta elabori una rappresentazione del territorio e in che modo essa connetta le cose, oltre che allo sguardo attraverso i segni visibili, anche al discorso. A tal fine, appunto, va introdotta la funzione verbale svolta dalla carta, che dipende strettamente dalle caratteristiche del supporto – il foglio – utilizzato per la rappresentazione e più specificatamente dalla sua dimensione e dalla scala che concorrono a definire la topografia, ma anche dalla proiezione che concorre a definire la topologia. In altre parole, la condizione necessaria per la funzione verbale di esprimersi nel documento cartografico deriva dal dove cartografico condizionato anche dall’orientamento e dalla quadrettatura (reticolo geografico) del foglio che fissano il punto di vista. Questo è dato dal contenuto referenziale insito nei designatori dei luoghi astratti (punti cardinali) ed immaginari (coordinate geografiche). Infatti, il contenuto informativo dei designatori deputati alla designazione dei luoghi astratti, si manifesta conferendo al foglio l’orientamento; così come il contenuto informativo dei designatori deputati alla designazione dei luoghi immaginari, si manifesta stabilendo un sistema di riferimento assoluto.

Ora, è proprio il foglio così specificato (metrico, geometrico, orientato e quadrettato) a svolgere la funzione verbale, a rendere possibile l’instaurarsi di relazioni ed interazioni tra i segni (ossia tra i nomi, i predicati codificati cartograficamente), producendo così la proposizione (figura 2). In altre parole, è proprio la spazializzazione a rendere possibile il meccanismo di specificazione dei predicati e delle predicazioni attraverso le proposizioni. Non può sfuggire, a questo punto, la valenza esplicativa della carta che si gioca sulla capacità di specificare e individualizzare il luogo come “porzione determinata dello spazio che si singolarizza per la sua situazione rispetto ad un insieme, per la cosa che vi si trova o il fenomeno che vi si produce” (Turco, 2008b). In altre parole, la rappresentazione cartografica può costituire una modalità per l’individualizzazione dei luoghi attraverso l’espansione dell’energia “informativa e comunicativa accumulata e veicolata dai nomi che, divenendo finalmente dei costrutti, amplificano l’intelligenza dei fatti, delle situazioni e perché no delle ‘cose’, aiutandoci quindi a spiegare e comprendere” (Turco, 2008b).

Figura 2
La formazione di proposizioni nella carta

Fonte: Elaborazione propria

Proprio grazie all’interazione tra i codici, i contenuti informativi dei designatori si specificano in precisi significati e la carta, dunque, formula proposizioni. Alcuni di questi significati-proposizioni sono espliciti, come quelli riportati nella legenda; altri, invece, sono impliciti e “nascosti” e vanno pertanto “scoperti”. In effetti, la carta, proprio in virtù del meccanismo dell’interazione segnica – che è autoreferenziale –, è in grado di creare e trasmettere significazioni che non necessariamente corrispondono alle informazioni contenute originariamente nei singoli designatori, o alle sole informazioni che il cartografo volontariamente seleziona e decide di mettere in risalto, ma che dipendono sia dal contesto storico e sociale del cartografo, del documento cartografico e dell’interprete (che può non appartenere allo stesso contesto); sia dall’utilizzo che l’interprete intende fare della carta, al di là dello scopo per il quale essa è stata realizzata.

Arrivare a “scoprire” questo tipo di interazione, riuscire a ricavare dalla carta le proposizioni “nascoste”, significa riuscire a passare da una sintassi cosale ad una sintassi dei predicati e/o delle predicazioni[8].

Applicazioni didattiche nella scuola di base

Le implicazione a livello didattico di una tale problematizzazione possono essere diverse. Innanzitutto essa impone la necessità di ridefinire le caratteristiche della carta geografica da mettere in evidenza e/o da far emergere nel processo di apprendimento e il bisogno di esplicitare il funzionamento e il linguaggio cartografico. In sostanza, essa impone l’esigenza di individuare nuovi obiettivi formativi e nuove finalità didattiche da perseguire nel processo di apprendimento centrato sull’importanza di capire il funzionamento ed il ruolo della rappresentazione cartografica e, dunque, sull’importanza del controllo cognitivo e simbolico che la società attua sulla realtà attraverso le carte geografiche (Calandra, 2007). Si tratta, in un certo senso, di far acquisire la capacità di “giocare con le carte”: di smontarle per poi rimontarle, e di montarle per poi smontarle. Ed è proprio sulla funzione verbale della carta, e dunque sul meccanismo dell’interazione tra i segni e i codici che il processo di apprendimento può focalizzare l’attenzione. Del resto, è all’interazione segnica che va ricondotta l’interpretazione e la lettura delle carte al fine di imparare a riconoscere, innanzitutto, i significati-proposizioni prodotti dal documento cartografico; in secondo luogo, il principale intento comunicativo della carta nel suo complesso, che dipenderà evidentemente dal tipo di significazioni che prevale o viene maggiormente enfatizzato dalle interazioni dei segni; in terzo luogo, il contesto storico e sociale della rappresentazione. In tale prospettiva, ciò che risulta rilevante a livello didattico non è tanto la distinzione delle carte in varie tipologie (carte politiche, carte fisiche, carte topografiche, ecc.), quanto piuttosto la distinzione tra intento comunicativo:

a) prevalentemente descrittivo, come può essere quello della carta topografica che enfatizza soprattutto la referenzialità;

b) prevalentemente performativo, come quello relativo a qualità organizzative del territorio (es. carta politica) o a qualità pratico-organizzative (es. carta dell’uso dei suoli);

c) prevalentemente simbolico, come nel caso di carte che valorizzano la dimensione storico-culturale del territorio anche in funzione di una qualche pratica (es. carta turistica).

In altre parole, più che impostare il discorso formativo su una classificazione delle carte, si potrebbe spostare la riflessione sugli scopi e le funzioni della rappresentazione cartografica.

Esempi di attività didattiche coerenti con la problematizzazione qui proposta, sono illustrati nelle schede 1 e 2. Nello specifico, nella scheda 1 l’attività didattica focalizza l’attenzione sulla capacità della carta di formare proposizioni al livello della sintassi cosale. Ciò che viene messo in evidenza, infatti, è eminentemente la declinazione dei luoghi come posizione (relativa ed assoluta) e quindi dei luoghi come forma. La scheda 2, invece, sviluppa il percorso didattico a livello della sintassi predicativa. In sostanza, gli esercizi proposti mirano a far emergere i predicati dei luoghi, in particolare le principali caratteristiche fisico-naturali e le caratteristiche organizzative (politico-amministrative) del territorio rappresentato.

Scheda 1
Attività didattica: posizione e forma



Fonte: Calandra, 2007

Scheda 2
Attività didattica: le caratteristiche fisico-naturali e organizzative


Fonte: Calandra, 2007

Conclusione

Insomma, è a questo complesso dispositivo di codici, segni e interazioni tra segni che va ricondotta l’interpretazione e la lettura delle carte geografiche al fine di imparare il linguaggio cartografico e poter dunque riconoscere i significati e il tipo di informazione (referenziale, simbolica, performativa) prodotti dalla carta. Infatti, per effetto del processo di produzione di significati che si realizza all’interno della rappresentazione cartografica, e sulla base delle informazioni contenute e veicolate da tali significati, la carta geografica sviluppa una capacità comunicativa e persuasiva che si manifesta a più livelli:

1) in termini oggettivi, poiché la carta è una immagine della realtà, una rappresentazione del territorio fondata su una interpretazione e una selezione di elementi e componenti, funzionali ad un qualche utilizzo (funzione della carta);

2) in termini soggettivi, perché la carta incorpora l’intenzione dimostrativa ed illustrativa del cartografo che realizza la carta con un preciso intento (scopo della carta) e perché, al di là delle intenzioni di quest’ultimo, i vari interpreti posso realizzare percorsi di lettura autonomi e diversificati;

3) in termini autoreferenziali, in quanto al di là delle intenzioni del cartografo e delle letture degli interpreti, la carta funziona come un ipertesto in grado di produrre autonomamente percorsi, relazioni, significati che scaturiscono dalla contestualizzazione storico-sociale.

Riuscire a ricostruire, attraverso la comprensione del linguaggio cartografico, la funzione e lo scopo della carta, nonché il progetto sociale all’interno del quale essa viene prodotta, significa essere in grado di elaborare e/o ricostruire un discorso geografico sul territorio cartografato.

A tal fine, è innanzitutto sulla natura (astratta, immaginaria, concreta) e sulla qualità (referenziale, simbolica e performativa) dei luoghi rappresentati che il discorso andrà orientato al fine di esplicitarne la funzione (verbale o nominale) nel documento cartografico. In secondo luogo, è sulle modalità attraverso le quali il contenuto informativo insito nel nome di un qualunque luogo concreto può diventare segno cartografico, che si focalizzerà l’attenzione formativa. Ma soprattutto è sulla funzione verbale, sul meccanismo dell’interazione segnica che si realizza grazie alle qualità e caratteristiche del foglio, che si farà ruotare il processo educativo centrato sulla cartografia.

Note

[1] Si rimanda, per esempio, al numero di Acme interamente dedicato alla Critical Cartography (Acme, 2005, vol. 1, n° 4. <http://www.acme-journal.org/>. [15 marzo 2008]. ISSN: 1492-9732).

[2] Generalmente, nel processo di costruzione di una territorialità che un corpo sociale mette in atto al fine di garantire nel tempo la propria riproduzione fisica e sociale, si distinguono tre momenti: quello della conoscenza-interpretazione della realtà (controllo cognitivo-simbolico), quello della trasformazione materiale della realtà (controllo pratico-materiale) e quello dell'organizzazione della materialità naturale e costruita in strutture territoriali (controllo organizzativo). Si tratta rispettivamente dei momenti della denominazione, della reificazione e della strutturazione (Turco, 1988). Per i fondamenti teorici della denominazione si vedano Turco, 1994, 1997, 1999, 2004a; sulla carta geografica come dispiegamento della denominazione si rimanda a Casti, 1998b; Di Giorgio, 2000a, 2000b, 2000c; Gaffuri, 1996, 2000.

[3] In realtà, se è vero che lo spazio geometrico della carta riduce i luoghi (e dunque le cose) a forma e posizione, è anche vero, come si tenterà di mostrare più avanti, che la spazializzazione delle cose e del tempo può realizzarsi, oltre che a livello della “cosa”, anche e più profondamente al livello delle caratteristiche delle cose (livello dei predicati) e, ancora, al livello dei processi che hanno condotto storicamente alla formazione dei predicati (livello delle predicazioni).

[4] In particolare il volume di A. Vallega La geografia del tempo. Saggio di geografia culturale (2006).

[5] In altri termini, prosegue Turco, Vallega non solo arriva a “mettere in crisi la concezione paratattica dello spazio. Di più, egli arriva a farci pensare che forse la relazione spazio-temporale, in geografia – voglio dire nel mondo costruito e vissuto dagli umani – non solo non possa essere ridotta a quella proposta dalla fisica, ma si basa su logiche diverse in un modo forse, di cui proprio Kant aveva avuto intuizione evocando – vorrei dire da geografo piuttosto che da filosofo – il tema dell'intelligenza spaziale” (Turco, 2007, p. 990).

[6] “La proposizione sta al linguaggio come la rappresentazione sta al pensiero: ne costituisce la forma a un tempo più generale e più elementare, poiché, una volta frazionata, essa non ci offre più il discorso bensì i suoi elementi, cioè altrettanti elementi disseminati. Al di sotto della proposizione, si trovano le parole, ma ovviamente il linguaggio non si compie in esse. […] spetta alla proposizione staccare il segno sonoro dai suoi immediati valori espressivi, e instaurarla sovranamente nella sua possibilità linguistica” (Foucault, 1966, ed. italiana 2006, p. 108).

[7] Tale distinzione rinvia alla classificazione dei designatori in tre categorie (Turco, 1988). La prima è quella del designatore referenziale che si caratterizza per il contenuto puramente descrittivo dell'informazione in esso racchiusa. Esso, infatti, riassume in una sola parola una o più caratteristiche del luogo, che in genere si riferiscono a: la localizzazione, la posizione nello spazio, la posizione nel tempo, la dimensione, la forma, il colore, l'appartenenza. Il designatore referenziale, in poche parole, è quello specificatamente ed esclusivamente deputato a fissare punti di riferimento sulla superficie terrestre a partire dalla descrizione di caratteristiche fisico-spaziali. La seconda è quella del designatore simbolico che si caratterizza essenzialmente per il contenuto storico-culturale dell'informazione in esso contenuta. Infatti, attraverso il designatore simbolico un gruppo sociale imprime sul luogo: la sua storia (avvenimenti e personaggi riguardanti una famiglia, un popolo, una istituzione), le sue credenze (miti, leggende, religione), i suoi principi etico-morali ed estetici (buono/cattivo, giusto/sbagliato, bello/brutto), le sue tradizioni (usi, costumi, comportamenti). Il designatore simbolico, quindi, nel momento in cui viene attribuito ad un luogo rende quest'ultimo “il simbolo” di un principio etico-morale, o di un principio estetico, o ancora di una memoria storica, di una credenza religiosa o mitologico-leggendaria che l'interno corpo sociale condivide, sa capire, sa trasmettere. La terza, infine, è quella del designatore performativo che si caratterizza essenzialmente per il contenuto pratico-organizzativo dell'informazione in esso contenuta. Infatti, attraverso il designatore performativo un gruppo sociale imprime sul luogo: le sue abilità tecnico-pratiche e le sue competenze organizzative. Così, il designatore performativo, nel momento in cui viene attribuito, rende il luogo “lo strumento” di un complesso atto di trasformazione materiale del territorio a cui l'intero corpo sociale prende parte. Il luogo, in pratica, diventa performativo, cioè funzionale ad un intero programma o progetto sociale di trasformazione e produzione materiale.

[8] Rispetto alla teoria degli atti designativi sviluppata da A. Turco (1999), infatti, è al livello della sintassi che l'interazione si situa, e dunque della grammaticalizzazione del territorio.

 

Bibliografia

BERQUE, A. Ècoumène. Introduction à l’étude des milieux humains. Paris: Belin, 2000, 271 p.

BORIA, E. Cartografia e potere. Segni e rappresentazioni negli atlanti italiani del novecento. Torino: UTET, 2007, 230 p.

CALANDRA, L.M. Progetto geografia. Percorsi di didattica e riflessione, Trento: Erickson, 2007, 244 p.

CASTI, E. L’Altrove negato nella cartografia coloniale italiana: il caso Somalia. In CASTI, E., TURCO, A. Culture dell’Alterità, il territorio africano e le sue rappresentazioni, Milano: Unicopli, 1998a, p. 269-304.

CASTI, E. L’ordine del mondo e la sua rappresentazione. Semiosi cartografica e autoreferenza. Milano: Unicopli, 1998b, 228 p.

CASTI, E. Colonialismo dipinto: la carta della vegetazione in AOF. Terra d’Africa, 2000, vol. IX, p. 15-71.

CASTI, E. Cartografia e semiologia della visione: le dinamiche di costruzione di una semantica dell’Altrove. In CASTI, E. Cartografia e progettazione territoriale. Dalle carte coloniali alle carte di piano. Torino: UTET, 2007, p. 73-94.

DI GIORGIO, M. Cartografia e territorio nell’Abruzzo montano in età francese. In FIORANI, E., GAFFURI, L. Le rappresentazioni dello spazio, Milano: FrancoAngeli, 2000a, pp. 160-193.

DI GIORGIO, M., Le mappe e i nomi. In FIORANI, E., GAFFURI, L. Le rappresentazioni dello spazio, Milano: FrancoAngeli, 2000b, p. 302-307.

DI GIORGIO, M. Cartografia e conflitti ambientali. In FIORANI, E., GAFFURI, L., Le rappresentazioni dello spazio, Milano: FrancoAngeli, 2000c, p. 332-337.

FARINELLI, F. Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo. Torino: Einaudi, 2003, 237 p.

FOUCAULT, M. Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane. Milano: Biblioteca Universale Rizzoli, 2006, 417 p. (ed. originale Les mots et les choses. Paris: Gallimard,1966).

GAFFURI L. Trasfigurazioni della pietà, Milano: Unicopli, 1996, 264 p.

GAFFURI, L. Le mappe dell’Ospedale Maggiore di Milano tra Sette e Ottocento. In FIORANI, E., GAFFURI, L., Le rappresentazioni dello spazio, Milano: Franco Angeli, 2000, p. 194-236.

HARRIS, L., HARROWER, M. Critical Cartography. Acme, 2005, vol. 1, n° 4. <http://www.acme-journal.org>. [15 marzo 2008]. ISSN: 1492-9732.

LÉVY, J. La carta, uno spazio da costruire. In CASTI, E. Cartografia e progettazione territoriale. Dalle carte coloniali alle carte di piano. Torino: UTET, 2007, p. 42-61.

MASTURZO, A. Il ruolo della carta topografica dell’IGM nelle politiche di valorizzazione agraria della colonia libica. In CASTI, E. Cartografia e progettazione territoriale. Dalle carte coloniali alle carte di piano. Torino: UTET, 2007a, p. 95-114.

QUAINI, M. L’ombra del paesaggio. Reggio Emilia: Diabasis, 2006, 284 p.

QUAINI, M. Un ciliegio, il mito della natura e la carta geografica. Quale geografia per la pianificazione territoriale? In CASTI, E. Cartografia e progettazione territoriale. Dalle carte coloniali alle carte di piano. Torino: UTET, 2007a, p. 11-30.

QUAINI, M. Aporie e nuovi percorsi nella storia della cartografia. In margine a due libri di Giorgio Mangani. Rivista Geografica Italiana, 2007b, n° 114, p. 159-178.

RAFFESTIN, C., Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio. Firenze: Alinea, 2005, 139 p.

SQUARCINA, E., Un mondo di carta e di carte. Analisi critica dei libri di testo di geografia per la scuola elementare. Milano: Guerini Scientifica, 2007, 195 p.

TURCO, A. Verso una teoria geografica della complessità, Milano: Unicopli, 1988, 184 p.

TURCO A., Semiotica del territorio: congetture, esplorazioni, progetti. Rivista Geografica Italiana, n° 101, 1994, p. 365-383.

TURCO A., Aménagement et processus territoriaux: l’enjeu sémiologique. Espace et Société, vol. 90-91, n° 3-4, 1997, p. 231-249.

TURCO A., Terra eburnea. Il mito, il luogo, la storia in Africa. Milano: Unicopli, 1999, 309 p.

TURCO, A. Abitare l’avvenire. Configurazioni territoriali e dinamiche identitarie nell’età della globalizzazione. Bollettino della Società Geografica Italiana, 2003, vol. VIII, p. 3-20.

TURCO A., Mythos and Techne: An essay on the intercultural function of territory in sub-Saharan geography. GeoJournal, n° 60, 2004a, p. 329-337.

TURCO, A. Città storiche: profili semantici. In AA.VV. Atlante dei tipi geografici. Firenze: Istituto Geografico Militare, 2004b, p. 640-642.

TURCO, A. La geografia del tempo. Passione disciplinare ed etica della ricerca in Adalberto Vallega. Bollettino della Società Geografica Italiana, 2007, vol. XII, p. 987-994.

TURCO, A. Cronache toponimiche: declinare il luogo. Bollettino della Società Geografica Italiana, 2008a, in stampa.

TURCO, A.Topogenèse. La généalogie du lieu et la constitution du territoire. Grenoble: Igla, 2008b, in stampa.

 

Referencia bibliográfica

CALANDRA, Lina M.Il territorio attraverso le carte geografiche: un modello didattico per la scuola di base. Diez años de cambios en el Mundo, en la Geografía y en las Ciencias Sociales, 1999-2008. Actas del X Coloquio Internacional de Geocrítica, Universidad de Barcelona, 26-30 de mayo de 2008. <http://www.ub.es/geocrit/-xcol/140.htm>

Volver al programa provisional