Biblio 3W
REVISTA BIBLIOGRÁFICA DE GEOGRAFÍA Y CIENCIAS SOCIALES
(Serie  documental de Geo Crítica)
Universidad de Barcelona 
ISSN: 1138-9796. Depósito Legal: B. 21.742-98 
Vol. XIII, nº 792, 5 de agosto de 2008

CASTI, Emanuela (a cura di), Cartografia e progettazione territoriale. Dalle carte coloniali alle carte di piano, Torino, UTET, 2007, pp. 233 [ISBN 978-88-6008-151-3]


Annarita Lamberti
Professore a contratto di Geografia presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell'Università di Bergamo
emanuela.casti@unibg.it


Individuando nel colonialismo e nella contemporaneità i momenti topici della costruzione progettuale del territorio, il libro denuncia la necessità di instaurare un nuovo rapporto tra la cartografia e la progettazione territoriale, ispirato a dinamiche più democratiche e partecipate. Emanuela Casti, a cui si deve la cura del volume ma anche la sua ideazione tematica, afferma che tale riflessione sul rapporto tra cartografia e progettazione territoriale induce a un ripensamento della cartografia” «che si interroghi non solo sul come comunicare ma su cosa comunicare, consapevole del proprio potere e del ruolo sociale che è chiamata a ricoprire» (p. 7)

Strutturato in tre parti, il libro prospetta prioritariamente una riflessione tra senso del territorio e cartografia; successivamente prende in considerazione la carta coloniale; infine prospetta i nuovi sistemi cartografici nella loro valenza politica e sociale.

La prime sezione è intitolata “Cartografia e senso del luogo”  e consta di tre saggi di taglio teorico.

Nel primo Massimo Quaini invita a ripensare gli strumenti teorici per l’analisi della dimensione locale. Il suo itinerario critico verso la riformulazione del ruolo della geografia nella progettazione territoriale, è sostenuto dall’approccio decostruttivo di Derrida, dal materialismo storico marxiano nella lettura di Feuerbach e dalle posizioni intellettuali di Perec e Latour. Quaini muove dall’apprezzamento dell’approccio delle scuole territorialiste italiane di Dematteis e Magnaghi per affermare la necessità del suo arricchimento in una prospettiva storica, richiamando l’insegnamento di Lucio Gambi.  Lo snodo di questo discorso ibrido tra l’approccio teorico e le ricadute pragmatiche sul territorio è individuato nella carta come una fonte da contestualizzare in una specifica dimensione di analisi e progettualità, per costituire un circolo “ermeneutico dal documento al terreno”.

Giorgio Mangani affronta il tema dell’impoverimento culturale come una perdita di “narrazione” e di “biodiversità” che riscontra nelle cartografie come nei territori reali, spazi globalizzati ridotti a pure espressioni quantitative. Dalla cartografia digitale proviene una possibilità di riflessione e approfondimento di nuove opportunità che consentono, invece, di far emergere nuovi spazi di azione, meno condizionati dal potere e dalle dinamiche globalizzanti. Luoghi fisici, mappe virtuali e Gis possono infatti essere “ricodificati” dai loro fruitori secondo modalità anarchiche: “narrazioni” e verità possono quindi convivere nella cartografia e nella geografia, come la sociologia della scienza di Bruno Latour va sperimentando.

Un interessante contributo di Jacques Lévy  sulle nuove sfide socio-politiche per la cartografia tradizionale chiude questa parte. Le tecnologie audiovisive e informatiche di rappresentazione del territorio sembrano marginalizzare sempre più la cartografia su supporto cartaceo, limitandola nella sfera della ricerca scientifica. Lévy individua nella attuale condizione di marginalità della cartografia “tradizionale” l’opportunità per riflettere sulla crisi della cartografia e sviluppare gli strumenti per superarla, che egli ritrova proprio nel suo ripensamento come linguaggio di rappresentazione, produzione e trasformazione dello spazio pubblico, da far entrare nel bagaglio formativo dei cittadini europei, al fine di rendere più democratico il processo di decision making.

La seconda sezione dedicata alla “Cartografia dell’espansione coloniale” si apre con un  contributo di Claudio Cerreti che concerne la carta coloniale, strumento di controllo del territorio che impone un “canone topografico metropolitano”, con cui trascura la sua struttura olistica fino a negarlo. A un’attenta analisi tale imposizione risulta spesso involontaria. Cerreti dimostra che la cartografia coloniale non mostra alcuna specificità e afferma che analizzare la capacità territorializzante della carta coloniale non può prescindere dallo studio del contesto nel quale viene  progettata e prodotta. Se contestualizzata, la carta coloniale, che alla luce delle prospettive critiche attuali appare come palesemente “falsa”, rivela il “punto di vista”, consapevole o meno, del suo autore e del suo lettore contemporaneo al processo di produzione.

Emanuela Casti affronta due esempi di semantizzazione dell’Altrove della cartografia coloniale francese. Nello specifico, analizzando due documenti cartografici realizzati alla fine del XIX secolo in Africa Occidentale Francese, mostra che il passaggio dalla cartografia di ricognizione  a quella topografica regolare, impoverisce la semiologia visuale adottata nella carta, e con essa il significato semantico del territorio. Tale perdita, tuttavia, contribuirà più tardi (tra gli anni Trenta e Sessanta del XX secolo) alla nascita di una riflessione sul significato dell’Altrove ad opera di alcuni amministratori/ricercatori, implicati sia nella denominazione territoriale sia nella costruzione della carta in grado di sancirla.

Andrea Masturzo indaga le modalità con le quali la carta topografica italiana ha sancito la denominazione dell’Altrove libico occultando il territorio africano e proposto una sua rappresentazione centrata sulle esigenze della valorizzazione agraria. L’analisi traccia, inoltre, una ricostruzione storica della produzione topografica nella colonia libica, voluta dal Ministero delle Colonie, rintracciando un iniziale periodo “sperimentale” e una fase “normalizzata”, nella quale la tecnica cartografica coloniale è stata omologata agli standard metropolitani.

Luisa Rossi analizza la carte nivelée del Ponente del Golfo spezzino, realizzata dai colonizzatori napoleonici, come primo esempio di carta a curve di livello finalizzata alla costruzione di un grande modello tridimensionale che rendesse possibile all’imperatore di seguire i progetti degli interventi urbanistici dalla sua sede di Parigi. Rossi dimostra che oltre all’applicazione rigorosa di regole matematico-geometriche sono le capacità artistico-pittoriche del cartografo a potenziarne il carattere di instrumentum regni e di controllo a distanza.

Michele Castelnovi affronta il tema della costruzione di interesse (politico e culturale) del  Dodecaneso nella geopolitica coloniale italiana, realizzata dai geografi dell’epoca tra cui Paolo Revelli, il quale scelse di strumentalizzare la storia e la cartografia medievale della presenza italiana nel mar di Levante e soprattutto delle colonie veneziane per giustificare le ambizioni dell’Italia contemporanea.

La terza sezione “Cartografia della pianificazione”, che presenta una forte taglio politico e contemporaneistico principia con un saggio di Andrea Cantile che riflette sulla cartografia di piano, finora a uso esclusivo degli esperti, in relazione alle nuove esigenze di partecipazione. Sulla spinta delle attuali istanze di partecipazione sociale, si delinea un nuovo scenario per la realizzazione delle carte di piano e per le più ampie tecniche della comunicazione geografica, che dovranno essere capaci di sintetizzare immagini del territorio e delle città, sulla base di un sapere storico e di un’interazione partecipativa, in documenti che pur non essendo criptici per il cittadino comune evitino di essere banali e mantengano coerenza con gli aspetti normativi della pianificazione.

Di seguito, Stéphane Roche presenta le Tecnologie dell’Informazione Geografica (TIG) quali strumenti destinati ad entrare nel processo di decision making e di pianificazione territoriale, assicurando strategie di empowerment sociale e configurandosi come medium di democrazia partecipativa locale. In relazione alle loro caratteristiche tecnico-scientifiche e alle loro implicazioni socio-politiche, inoltre, delinea i differenti sviluppi conseguiti nel loro utilizzo nei diversi contesti di  Francia e Stati Uniti.  

Infine, l’Unità di ricerca dell’Università di Bergamo, che svolge ricerche di terreno in Africa occidentale sub-sahariana e nel territorio bergamasco, affronta la carta come processo e analizza la sua capacità di nutrire la cittadinanza, intesa come una vita democratica e consapevolezza dei contenuti territoriali.

Federica Burini considera i sistemi cartografici partecipativi come strumento di governance. Essi sono adottati per la realizzazione di interventi in grado di far partecipare le comunità locali ai processi decisionali concernenti la pianificazione ambientale in un’ottica di sostenibilità. In base alle sue ricerche Burini registra un forte interesse nei confronti delle modalità tecniche e realizzative, a fronte di un’esigua attenzione rivolta ad un’analisi dei loro esiti comunicativi. É  per tale ragione che, ancorandosi all’interpretazione semiotica della carta, propone di riflettere sul ruolo degli interpreti e sugli esiti comunicativi di tali sistemi cartografici nel far emergere il significato sociale attribuito ai luoghi.

Olivier Lompo presenta una strategia di ricerca  che individua nella cartografia partecipativa lo strumento imprescindibile sul quale informare le diverse fasi della pianificazione ambientale. Tale Strategia, che prende il nome di SIGAP (Sistemi Informativi Geografici per le Aree Protette), è stata ideata dal gruppo di ricerca dell’Università di Bergamo e testata nell’ambito del Programme Régional Parc W/ECOPAS (Ecosystèmes protégés en Afrique Sahélienne). Essa identifica una metodologia di ricerca atta a realizzare degli strumenti cartografici partecipativi basati sull’uso dei sistemi GIS (Geographic Information Systems), in grado di tradurre e rendere operativi sul terreno i modelli di protezione ambientale rivolti allo sviluppo sostenibile e alla gestione partecipativa.

Alessandra Ghisalberti si sofferma sulla cartografia quale strumento di rappresentazione delle trasformazioni urbane, indotte dai processi migratori, e analizza i segni lasciati dal gruppo immigrato africano nel paesaggio urbano bergamasco. Abbandonando la cartografia tematica tradizionale, prevalentemente finalizzata a quantificare e localizzare il fenomeno, Ghisalberti riflette sulla cartografia interattiva e multimediale, quale nuovo strumento in grado di suggerire la valenza sociale di un territorio urbano, specchio di forme identitarie in continua mutazione.

Tutti gli interventi, nati da posizioni critiche di elevato valore epistemologico o da accurati e lunghi processi di ricerca, contribuiscono a prospettare la nuova stagione cartografica caratterizzata dalla tensione verso una cartografia riflessiva.


©Annarita Lamberti, 2008
© Biblio3W, 2008

Ficha bibliográfica

LAMBERTI, Annarita. Emanuela Casti (a cura di), Cartografia e progettazione territoriale. Dalle carte coloniali alle carte di piano. Biblio 3W, Revista Bibliográfica de Geografía y Ciencias Sociales, Universidad de Barcelona, Vol. XIII, nº 792, de 5 de agosto de 2008. <http://www.ub.es/geocrit/b3w-792.htm>. [ISSN 1138-9796].


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