Biblio 3W
REVISTA BIBLIOGRÁFICA DE GEOGRAFÍA Y CIENCIAS SOCIALES
(Serie documental de Geo Crítica)
Universidad de Barcelona 
ISSN: 1138-9796. 
Depósito Legal: B. 21.742-98 
Vol. XIII, nº 797, 25 de septiembre de 2008


CAMPOBASSO: NODO DI TRAFFICO NELLA GEOGRAFIA TRANSUMANTE E FIERISTICA DEL MEZZOGIORNO ITALIANO NEGLI APPREZZI DEL 1688 E DEL 1732

Emilia Sarno
Università degli Studi del Molise
sarno@unimol.it
emilia.sarno@tiscalinet.it


Campobasso: nodo di traffico nella geografia transumante e fieristica del Mezzogiorno italiano negli apprezzi del 1688 e del 1732 (Riassunto)

Lo sviluppo socio-economico e l’ampliamento urbanistico dei centri urbani dell’Italia meridionale sono stati limitati nell’età moderna, anche per l’organizzazione del Regno di Napoli.

E’, perciò, particolarmente interessante studiare il caso della città di Campobasso, nell’odierna regione italiana, il Molise, che, nell’età moderna, era una delle province del Regno denominata Contado di Molise, e seguirne lo sviluppo. Il contributo, pertanto, vuole illustrare criticamente come questa sia riuscita a imporsi come tappa intermedia della transumanza e come piazza fieristica, così da diventare un centro di rilievo nella sua area territoriale e inserirsi, come nodo di transito, nella gerarchia urbana interregionale del Mezzogiorno moderno. La possibilità di analizzare questo processo geo-storico è fornita da due documenti, il primo del 1688 e il secondo del 1732, che permettono di ricostruire la storia urbana di Campobasso e il faticoso percorso di evoluzione.

Parole chiave: storia urbana, gerarchia urbana della transumanza e geografia fieristica del Mezzogiorno italiano


Campobasso: nudo de tráfico en la geografía trashumante y ferial del sur de Italia en los “apprezzi” (documentos de verificación y tasación) del 1688 y del 1732 (Resumen)

El desarrollo socioeconómico y la ampliación urbanística de los centros urbanos de la Italia meridional fueron limitados en la Edad Moderna, siendo uno de los motivos la organización del Reino de Nápoles.

Por lo tanto, resulta particularmente interesante estudiar el caso de la ciudad de Campobasso, capital de la actual región italiana del Molise, para seguir de ésta su desarrollo, ya que fue en la Edad Moderna una de las provincias del Reino, denominada “Condado de Molise”.

Este trabajo, por tanto, quiere ilustrar críticamente como esta ciudad ha logrado imponerse como etapa intermedia de la trashumancia y como emplazamiento ferial, convertirse en un puesto de relieve en su entorno e introducirse, como nudo de tránsito, en la jerarquía urbana interregional en el sur de la Italia actual. El análisis de este proceso geo-histórico ha sido posible gracias a dos documentos: el primero del 1688 y el segundo del 1732, los cuales permiten reconstruir la historia urbana de Campobasso y el fatigoso recorrido en su evolución. 

Palabras clave: historia urbana, geografía ferial de la italia meridional, jerarquía urbana de la trashumancia 


Campobasso:  nerve centre for transhumance and animal fairs in the  Southern Italy  in the documents of  1688 and 1732 (Abstract)

The socio-economic and urban development of Southern  Italy has been very limited in the modern era due to the administrative organization of The Kingdom of Naples; though other factors were involved in this lack of growth as well.

It is of particular interest therefore, to study the case of the development of the town of Campobasso, found today in the region of Molise, which was one of the provinces of the Kingdom of Naples known as Contado di Molise.  This paper would like to critically illustrate how the town succeeded in imposing itself as an intermediary stopping centre for transhumance and fairs to go on to become important in its area as a nerve centre of traffic in the urban hierarchy of modern-day Southern Italy.

The possibility of being able to study this geo-historical development is given us by two documents dated 1688 and 1732 which allow us to reconstruct the urban history of Campobasso and its difficult evolution.

Key words: urban history, fair geography of Southern Italy, urban hierarchy of transhumance


Nell’età moderna, lo sviluppo socio-economico e l’ampliamento urbanistico dei centri urbani dell’Italia meridionale sono stati particolarmente limitati, condizionati dal mancato sviluppo della civiltà comunale[1] e dall’organizzazione del Regno di Napoli (figura1) che non lasciava autonomia politica ed amministrativa alle province[2]. Inoltre, poiché l’economia meridionale era fondata sulla produzione cerealicola e sulla transumanza,  a cui era necessario lasciare ampi spazi, si delinea, tra il XV e XVI secolo, una riduzione degli abitati e una concentrazione della popolazione  in insediamenti che avevano principalmente funzione abitativa[3].

E’, perciò, particolarmente interessante studiare il caso della città di Campobasso e le ragioni per le quali  sia riuscita tanto ad imporsi nella sua area territoriale, che era una delle province del Regno di Napoli, denominata Contado di Molise, quanto ad inserirsi, come nodo di transito, nella gerarchia urbana interregionale del Mezzogiorno moderno[4].

La possibilità di analizzare questo processo geo-storico è fornita da due documenti, il primo del 1688 e il secondo del 1732, che permettono di ricostruire la storia urbana di Campobasso e il suo faticoso percorso di evoluzione.

Le caratteristiche topografiche e le  funzioni di Campobasso prima del 1688

Campobasso, di fondazione longobarda[5] nel IX secolo d.C., è un castrum sorto per motivazioni difensive, poiché le caratteristiche del suo sito originario, l’altura del Monte Bello, a 794m slm, consente il controllo territoriale dell’area centrale dell’odierno Molise[6].

Figura 1
 Province del Regno di Napoli nel XVIII secolo


Fonte: Provincia di Campobasso, 2005

La sua esistenza non è affatto isolata, ma è pari a quella di altri castra che sono sorti, tra il IX e XI secolo, in Molise e nel circondario di Campobasso, ma quest’ultimo consente di controllare le piane dei fiumi  Biferno e Fortore[7]; tale condizione è decisiva   prima per i Longobardi, poi, dopo il Mille, per i de Molisio[8] , la famiglia che costituisce la Contea di Molise (figura 2).

Gli scarni documenti[9] dei secoli XIII-XIV permettono di individuare alcune caratteristiche topografiche di Campobasso: è un tipico insediamento arroccato su un altura, chiuso dalle mura, mentre gli spazi esterni sono utilizzati per il mercato, grazie ad  una primitiva vocazione fieristica[10]. La motivazione difensiva, che è stata all’origine della fondazione, permane ed è anzi ampliata.

Figura 2
  L’odierna regione Molise e la posizione strategica di Campobasso


Fonte: De Agostini, 2007

Nel XV secolo,  infatti,  l’impegno di Nicola Monforte[11], Signore di Campobasso, è quello di trasformare il sito originario in un polo militare e di favorire lo sviluppo del polo civile dei burgenses nel declivio del monte. Tuttavia, dopo la sua sconfitta, tanto la roccaforte, quanto la vocazione militare sono esautorate dal governo aragonese; pertanto, acquista maggior rilievo proprio il polo civile di Campobasso, con il nuovo centro intorno alla chiesa di S. Leonardo, da dove sono accessibili  gli ampi spazi fuori le mura (figura 3).

Figura 3
Campobasso nel XV secolo


Fonte: Boffa, 1989, p. 148 
E’ visibile l’ altura del Monte Bello con il castello, ovvero il polo militare, e l’ampliamento dell’insediamento lungo le pendici, il polo civile 

La riorganizzazione territoriale è coerente all'intensificazione della transumanza, per il decreto che, nel 1447, fu emanato da Alfonso d'Aragona per la gestione della Regia Dogana della mena delle pecore di Foggia. Con questo decreto si disciplina tutta l'attività della Dogana in modo organico e successivamente gli Spagnoli, subentrati agli Aragonesi nel governo dell'Italia meridionale, si preoccupano solo delle entrate fiscali. “Il Tavoliere costituiva ormai la principale fonte di entrate del regno, tanto da essere famoso non solo in Italia, ma in tutta l' Europa e cominciava ad assumere una caratterizzazione regionale, destinata ad accentuarsi nei secoli successivi. Subito dopo l'istituzione della Dogana il Contado di Molise entrò nella dipendenza del Preside della Regia udienza di Lucera” (Melillo, 2002, p. 36). I quadri ambientali delle province dell'Abruzzo, del Molise e della Capitanata (figura 4) acquisiscono compiutamente la fisionomia tipica della transumanza, con ampi spazi per il bestiame, con lo sviluppo dei tratturi, come percorsi erbosi, e con la concentrazione della popolazione in villaggi.

Figura 4
Tavola del Contado de Molise di M. Cartaro, 1613


Fonte: Petrocelli, 1995, p. 57
E' bene in evidenza la posizione geografica del Contado incassata tra le altre province:  Terra di Lavoro, Abruzzo e Capitanata

I rapporti economici del Molise diventano più stretti con le città della Capitanata, Foggia, sede della Dogana, e Lucera,  sede giudiziaria, per cui il castrum[12]  di Campobasso, non più strategico dal punto di vista militare, comincia a giovarsi di questa riorganizzazione territoriale, perché tappa obbligatoria tra  Napoli, la capitale politica, e Foggia, capitale economica. Inoltre, anche dal punto di vista demografico si impone nel Molise, come il centro più popoloso, raggiungendo nel 1608 un numero ragguardevole di 826 fuochi e  quindi circa 4000 abitanti[13].

Il contesto politico, che non si è certo preoccupato di tale feudo, ha, quindi, indirettamente creato le condizioni per inserirlo in una rete relazionale che è vantaggiosa dalla seconda metà del Cinquecento, benché tale ruolo emergerà solo dopo più di un secolo, per la crisi socio-demografica che investe il Regno di Napoli (Galasso, 1969) e particolarmente il Molise e Campobasso a causa  delle pestilenze[14], la peggiore quella del 1656. La crisi demografica, correlata a quella economica, rallenta e limita i tentativi di affermazione di Campobasso, che, solo dalla seconda metà del Seicento, potrà consolidare un ruolo lungamente ricercato[15].

Le due fonti: gli apprezzi del 1688 e del 1732

I documenti presi in esame sono due apprezzi, il primo del 1688 e il secondo del 1732, predisposti dal fisco regio[16] per stabilire  la stima di Campobasso, e permettono di conoscere questo feudo nei minimi particolari. L’apprezzo era, infatti, lo strumento tipico per la stima fiscale[17], utilizzato ampiamente nel Regno di Napoli nell’età moderna, incentrato su alcune caratteristiche peculiari che dovevano essere rispettate: la perizia doveva documentare condizioni fisiche, ambientali, culturali, economiche e urbanistiche del feudo esaminato ( Buccaro-De Mattia, 2003).   Siffatti artefatti, alcuni brevi, altri di circa cento pagine, fanno emergere le micro-società locali,  fornendo un quadro preciso ed esaustivo degli insediamenti, delle risorse, dei ceti sociali, della struttura organizzativa. La validità consiste nella loro ampiezza, nella ricchezza dei particolari, nella possibilità di far rivivere una realtà sconosciuta anche nella quotidianità: in un certo senso l’apprezzo ha il vantaggio di far emergere aspetti visibili e non visibili, portando alla luce paesaggi umani e spaccati geo-storici particolarmente significativi.

I due documenti studiati   assumono particolare rilievo, perché rappresentano le prime descrizioni dettagliate di Campobasso, infatti, ne sono le più antiche testimonianze e ne attestano sia lo sviluppo topografico, sia socio-economico; inoltre, pur non essendo corredati di carte, suppliscono alla limitata presenza complessiva di materiali cartografici[18].

Il primo documento, l’ Apprezzo della terra di Campobasso e Jelsi,  è redatto il 20 aprile 1688 da Luigi Nauclerio[19], tavolario e perito, delegato dalla corte regia di Napoli, in esecuzione del decreto, del 6 febbraio dello stesso anno, promulgato della Regia Camera della Sommaria[20]. La motivazione dell’ apprezzo è da rintracciarsi nei debiti della famiglia che governa Campobasso: i Carafa[21]  che prendono possesso del feudo nel 1639 e dominano duramente fino al 1725. Nel 1675, alla morte di Giambattista Carafa, il figlio Mario, deve al fisco regio, per l’eredità ricevuta, circa 1524 ducati ed è costretto a contrarre debiti. La sua insolvenza spinge i creditori a rivolgersi ai rappresentanti del fisco regio, perché dispongano l’apprezzo del feudo di Campobasso, valutino i beni del duca e la  possibilità effettiva di pagare i debiti. Difatti, a conclusione della perizia, Mario Carafa deve pagare i suoi debiti per continuare a governare Campobasso fino alla morte, nel 1725. Benché avesse designato come erede Alessandro Milano duca di San Paolo, il successore non accetta un’eredità ancora carica di debiti e il feudo, secondo la normativa del Regno di Napoli, rientra nel patrimonio del  fisco regio che lo sottopone ad nuovo  apprezzo per future vendite.

Il secondo documento è redatto dal regio ingegnere Giuseppe Stendardo[22] nel 1732, incaricato quindi di approntare un nuovo Apprezzo della terra di Campobasso. Questa  perizia è ancora più incisiva della prima, perché deve stabilire il destino del feudo. Infatti, Stendardo, testimoniando lo sviluppo di Campobasso, ne stabilisce la stima e il valore, al punto che  un gruppo dei suoi abitanti si preoccupa di raccogliere la cifra stabilita per non sottomettersi nuovamente alle angherie del regime feudale, assumendosi l’impegno di riscattare la città[23].

Le due fonti forniscono validi elementi  dal punto di vista fiscale ed economico, ma soprattutto offrono un quadro esaustivo delle attività che si svolgevano a Campobasso, del crescente sviluppo del ceto artigianale,  delle funzioni acquisite nel Settecento. Attraverso siffatta descrizione,  emerge l’ampia trama relazionale nella quale si inserisce come nodo di traffico della transumanza e  come piazza fieristica. Grazie alle due fonti, pertanto, si può ricostruire la storia urbana di una città meridionale e le caratteristiche geo-economiche di un’area interna del Mezzogiorno italiano.

Campobasso  e la gerarchia urbana della transumanza

L’apprezzo del 1688, redatto da Luigi Nauclerio, fornisce, innanzi tutto, la descrizione topografica precisa ed esaustiva di Campobasso, a cominciare dai dati quantitativi: “Detti confini, che circuiscono tutto il suddetto territorio di Campobasso quale circuito è di miglia quindici in circa entro del quale si comprendono territori seminatori, pascoli, vigne, orti, boschi e altri cespugli[24]”.    La misurazione dell’estensione è seguita dall’individuazione nitida dei paesi confinanti e delle relative distanze, mostrando anche le località e le città con le quali i campobassani hanno frequenti rapporti.

“Dalla città di Benevento anche miglia ventiquattro (…) dalla città di Lucera anche miglia trenta; dalla città di Termoli dove è la marina miglia trentasei; dalla città di Foggia miglia quarantadue dove vi è fiera nel mese di maggio e dalla città di Napoli miglia sessanta incirca[25]”.

La città si pone, quindi, in una posizione mediana, come centro di transito tra Benevento, Foggia e Lucera, incassata come è tra le province del Regno di Napoli, confinando a nord-est con l’Abruzzo, ad ovest con la Terra di Lavoro, a sud con  il Principato Ultra e a sud-est con la provincia di Capitanata (figura 4). Il rapporto di dipendenza con la  provincia della Capitanata si avverte per precisi motivi: Foggia è rilevante per il traffico dei transumanti in viaggio per la Dogana della Mena  e per le sue fiere, mentre la distanza da Lucera indica il rapporto giuridico, giacché qui aveva sede la Regia Udienza, importante tribunale con funzioni civili e penali, a capo della Capitanata e del Contado.

I rapporti con la città di Benevento, che era pure località fieristica[26], erano dovuti soprattutto al fatto che, attraverso il passaggio per tale città, si poteva raggiungere Napoli, la capitale. Benevento, enclave papale nel Regno di Napoli,  aveva caratteristiche politiche tutte particolari, per cui i contatti dovevano essere soprattutto di carattere ecclesiastico, se Campobasso: “In quanto allo spirituale sta soggetta al Vescovo della città di Boiano, con l’appellazione all’ Arcivescovo di Benevento[27]”.

Il perito individua anche le distanze dai feudi all’interno del Molise, dove si svolgono le fiere, come Riccia, Civitacampomarano, San Marco in Catola, mentre di quelli limitrofi a Campobasso ne individua precisamente la posizione:

“ Seguendo verso ponente confina con li territori dell’Oratino fra quali confini vi è un vallone (…) e passando più oltre si va per i medesimi confini dell’Oratino e calando giù a basso sino alla strada di Busso (…) e salendo per il bosco dell’Università di detta terra (…) e calando dall’altra parte del bosco su acqua pendente confina con la via che va alla terra di Baranello[28]”.

Circa cinquant’anni dopo, l’apprezzo dell’ingegnere Stendardo del 1732, conferma siffatte relazioni territoriali: Napoli e Benevento, per i rapporti di carattere politico-religioso, Lucera e Foggia per quelli di tipo giuridico-economico. Egli, tuttavia, stigmatizza, Campobasso nei suoi rapporti gerarchici con Napoli:

“Sta la suddetta terra di Campobasso posta nella provincia di Contado di Molise distante da questa città di Napoli miglia cinquantaquattro alla quale vi si giunge per la strada di Benevento galessabile con qualche incomodato sino a detta terra [29]”.

Nel Molise è sempre importante Bojano perché sede vescovile, mentre, sulle coste dell’Adriatico, è valorizzata Termoli, per il suo rinascente porto e come punto di riferimento per Campobasso, tramite i caricatoj del grano: “dalla città di Termoli ove il mare adriatico miglia trentasei[30]”. Ancora, individua i luoghi già citati da Nauclerio per le fiere, ma ve ne aggiunge altri, come  Agnone e Capracotta.

Emerge, quindi, dai due documenti, una ricca rete di rapporti viari e commerciali e le distanze riportate in miglia dimostrano di non essere un effettivo problema. Campobasso non è isolata, ma è collocata in una rete che la collega sia agli altri centri della sua provincia, sia a città importanti delle province confinanti, perché è crocevia di bracci tratturali e nodo di transito dei transumanti, oltre che di mercanti, artigiani e viandanti. Il suo agro favorisce lo spostamento di uomini e merci in un territorio piuttosto accessibile, oltre che privo di pedaggi su eventuali ponti. Presso il borgo era possibile fermarsi, sostare con le greggi che avevano spazio ed erba sufficienti. La topografia di Campobasso rispecchia, infatti, le caratteristiche tipiche di un territorio votato alla transumanza, con un piccolo nucleo abitato e munito di mura, e con un ampio agro circostante in confluenza dell’importante braccio tratturale Torella del Sannio-Centocelle[31].

Questo braccio tratturale (figura 5) si collegava a due importanti tratturi: il Celano-Foggia e il Castel di Sangro-Lucera, che raccordavano l’Abruzzo con la Capitanata; perciò Campobasso si inseriva in una complessiva topografia viaria e insediativa tutta consona al quadro ambientale della transumanza: le greggi giungevano numerose presso i centri abitati, attraversando monti e pianure, tramite i tratturi, influenzando anche la disposizione della pianta urbane come è documentato per Foggia, dal secolo XVI in poi[32].

Figura 5
Il braccio fratturale Torella del Sannio- Centocelle


Fonte: www. tratturi. enduromania.it; accessed 2006
E’ evidente il braccio tratturale. che si snoda da Torella del Sannio fino alla località Centocelle, a poca distanza da Campobasso. Si collegava a due tratturi importanti: il Celano-Foggia e  il Castel di Sangro-Lucera ).

I pastori dovevano, muovendosi dall’ Abruzzo, raggiungere il Palazzo della Dogana di Foggia dove si contrattavano le vendite degli animali, nel cuore della transumanza, mentre Campobasso ne era una tappa intermedia (figura 6).  Si può pertanto, ricostruire la specificità della organizzazione spaziale della parte interna del Regno di Napoli, del tracciato che si delinea tra le province di Terra di Lavoro, Abruzzo, Principato Ultra e Capitanata, al cui centro vi è il Contado di Molise (figura 4).

E’ “una ricca rete di percorsi montani, difficili da rendere carrozzabili e sottoposti a un forte controllo territoriale nei passi e nei punti critici da parte dei poteri locali” (Giannetti, 1985, p. 257), con un movimento di uomini e merci che si muovono lungo i tratturi[33], che non sono riorganizzati dalla ferrea volontà militare dei Vicerè di Napoli, ma lasciati ai governi locali, interessati a produrre atlanti tratturali[34].

Figura 6
Pastori in Molise


Fonte: Pietravalle, 1979, p. 27 
Un’immagine tipica in Molise fino ad oggi: le greggi attraversanole aree collinari servendosi dei passaggi tratturali

Questa specificità territoriale, mentre crea relazioni territoriali, favorisce la costituzione di una gerarchia urbana del commercio della transumanza: la capitale era Foggia collegata a Lucera per le funzioni amministrative, ma Campobasso ha acquisito la sua rilevanza. L’importanza di Foggia è strettamente connessa al ruolo mastodontico della Dogana della Mena come luogo deputato al commercio collegato alla transumanza. Infatti, la Dogana regolamentava e controllava la riscossione dei proventi derivanti dal passaggio e dal diritto di pascolo, nello stesso tempo creava le condizioni per il commercio del bestiame e di tutti i prodotti utili ai transumanti.   

La  prevalenza di Foggia è avvalorata dal fatto che una delle fiere campobassane nel 1688 risulta non effettuata proprio per la concorrenza di quella coeva foggiana, inoltre, la città mantenne, pur con le pestilenze, un trend demografico positivo ed aveva assunto “una importante funzione di mercato e la Fiera annuale che vi si svolgeva era stata il centro di smercio di tutti i prodotti non solo del Tavoliere, ma anche di Terra d’Otranto, di Terra di Bari, della Basilicata, dell’Abruzzo, del Sannio” (Crisafulli-Miccolis, 1985, p. 153).

Lucera,a sua volta, godeva dello status di capitale culturale della Capitanata tra il XVI ed il XVII secolo, dal momento che molte famiglie nobili del regno vi stabilirono la propria residenza, arricchendola di eleganti palazzi[35] , inoltre, grazie a due fiere annuali, richiamava mercanti da tutta l’Italia (Pacichelli, 1979), nonché era sede della Regia Udienza, per cui controllava i territori pugliesi e molisani dal punto di vista civile e penale.

All’interno di questa gerarchia, riconoscendo la superiorità delle città della Capitanata, Campobasso vi si inserisce in modo funzionale, perché è nodo di transito negli spostamenti dall’Abruzzo, mentre si avvantaggia della sua posizione mediana anche nella gerarchia amministrativa, appunto come tappa intermedia verso la Regia Udienza. Insomma, è a mezza strada  tra Napoli, la capitale politica del Regno, Foggia, capitale economica, e Lucera, sede giudiziaria.

La piazza mercantile e la geografia fieristica del Mezzogiorno

Il Contado ha, quindi, la sua garanzia nella posizione di transito interno, nel quale Campobasso si pone come il centro in grado di ospitare transumanti, mercanti, forestieri, oltre a fornire spazi utili alle loro attività e necessità. In concomitanza con tale traffico, i campobassani puntano sullo sviluppo fieristico in un rapporto di coordinamento ed emulazione con le città della Capitanata, grazie ad un graduale sviluppo delle arti e dei fondachi del ferro, del sale, del tabacco e della farina[36]. I documenti medievali[37] attestano la presenza del mercato al di fuori delle mura e lo svolgimento di una fiera campobassana dal 1277, una  tradizione che permane nel tempo e si svilupperà pienamente dalla seconda metà del Seicento.

Il traffico transumante è, infatti, in stretta correlazione con la presenza del mercato, degli spazi che vengono precisamente individuati per le botteghe e le fiere nei due apprezzi, intorno al Palazzo ducale di Campobasso, ma soprattutto fuori le mura, come precisa Nauclerio:

“La maggior parte stanno con le loro botteghe fuora la porta di detta terra, chiamata della piazza, molte le quali sono attaccate alle mura della terra, altre nella piazza grande di mezzo ed altre si diramano in  tre piazze, a destra, a sinistra, e all’incontro la porta, quale è dietro la detta piazza grande e più avanti vi è una spaziosa pianura detta Chiese, fra quali vi sono diverse baracche di legname, coverte a tetti dove si fanno le dette fiere[38]

I transumanti sono la vera ragione per il mercato del bestiame che è visto come caratterizzante da Nauclerio nel 1688, mentre Stendardo, a sua volta, illustra ancora di più gli spazi esterni importanti per il transito e il commercio:

“Fuori la porta principale, vi è una piazza grande, ove si fa il mercato ogni giovedì e le fiere in esso; vi sono diverse abitazioni a destra e a sinistra, vi sono anche diversi pozzi sorgenti non solo per comodo delli abitanti di essa, ma anche per li forestieri, che ivi concorrono, vi è anche il borgo dei Ferrari parimenti un altro borgo che va dalla piazza giunge alla chiesa di S. Antonio Abate; viene ripartita detta terra da strade di competente larghezza, parte mattonate et altre silicate di pietra dura del paese, a lato et a sinistra delle medesime strade, vi sono l’abitazioni dei naturali della medesima terra, che consistono in competenti casette di primo e secondo piano, altre case fabbricate con buona idea a tre quarti, coverte generalmente a tetto[39]”.

Il regio ingegnere documenta la grande affluenza di forestieri e illustra l’organizzazione esterna. Il centro degli affari è fuori le mura, ormai consistente, e forma, insieme al borgo dei Ferrari[40] e a quello agricolo di S. Antonio, un’area ampia con funzioni economiche. Le fiere, ripetutamente citate negli apprezzi,  rappresentano un evento fondamentale,  perché fonte di ricchezza della città e fattore relazionale con i centri vicini; nel1688 ne sono documentate due: quella coincidente con la festività di S. Pietro e Paolo, il 29 giugno, e con la natività della Madonna, l’8 settembre.

“Vi fanno le dette fiere, una alli 29 giugno, nel giorno di S. Pietro e Paolo, e l’altra nella natività della Madonna a dì 8 di settembre, nella quale vi è gran concorso di forestieri per vendere e comprare di tutte sorti d’animali[41].

La città molisana è considerata luogo privilegiato per la vendita del bestiame, per cui  Nauclerio illustra che le fiere duravano per diversi giorni, richiamavano mercanti, che potevano affittare baracche di legno, e acquirenti per ogni sorta di animale (figura 7).  Inoltre, il perito fornisce, con brevi note, il quadro fieristico tra l’area beneventana, il Contado di Molise e la Capitanata. Nel Contado si distinguono, come località di commercio, collegate con Campobasso, Bojano con la fiera di S. Bartolomeo il ventiquattro agosto, Campomarano, con la fiera di S. Francesco ad ottobre, Volturara, con la fiera di S. Lucia il 18 ottobre[42]. Non risultano generalmente coincidenti, a dimostrazione di un’organizzazione che non crea sovrapposizioni. Il periodo complessivo è quello che va da maggio ad ottobre, quando avviene lo spostamento di uomini ed animali, coincidente con la presenza dei transumanti. Attraverso tale manifestazione emerge che due centri vicini, come Bojano e Riccia, hanno una certa vivacità; gli altri sono paesi distanti da Campobasso e devono soddisfare le esigenze di altre aree territoriali del Contado. Tuttavia, il mercato fieristico di Campobasso è superiore: “in tempo di fiera vi corrono quasi tutti i negozianti delle sopradette città e terre di vendere e comprare tutte le sorti di mercanzie per il che vi è gran concorso di forestieri[43]”.

Figura 7
 Esemplare di baracca tipica, presente nel mercato di Campobasso


Fonte: Trombetta, 1987, p. 18
La litografia dell’800 immortala il quadro vivido del ruolo mercantile della città

Il ruolo mercantile è garantito ulteriormente dal mercato settimanale del giovedì che richiama forestieri: “Dalle quali terre, le più convicine, molti ogni giovedì al mercato di detta terra di Campobasso, a comprare e vendere diverse cose, commestibili, e altro, conforme al loro bisogno[44]”.

La vendita del bestiame è di tale importanza che rappresenta uno dei compiti del rappresentante locale: il Mastro Giurato, che ha particolari poteri nell’amministrazione della giustizia, in tempo di fiera, e deve riscuotere le gabelle dalla vendita degli animali.

“Il quale Mastro Giurato esige in tempo di fiera per ogni pezzo d’animale vaccino (che viene da fuora a vendersi in essa fiera) due carlini (…) e per gli altri animali piccoli, come sono pecore, capre, porci, un grano per pezzo[45]”.

Un’intera organizzazione, pertanto, ruota intorno alle fiere considerate nella loro relazioni territoriali come un bene da gestire al meglio, evitando forme di concorrenza e favorendo la presenza dei mercanti forestieri che sono tenuti a pagare per il posto occupato, dal momento che   una fiera frutta circa centocinquanta ducati e rappresenta un’entrata considerevole per Campobasso se ne deve al suo duca settecento annualmente[46]. Lo spazio erboso antistante alle mura è, dunque, di grande utilità: “Nella fiera venendo forestieri e ponendo banche in piazza pagano un carlino per ogni luogo[47]”.

Nel giro di circa cinquant’anni  questa situazione si rafforza al punto che, nel secondo apprezzo, Campobasso assurge ad un ruolo preminente nel Regno per il suo mercato, ora bisettimanale e per le fiere divenute tre, recuperando anche quella soppressa per la concorrenza di Foggia[48].

“La prima sotto il titolo dei santi Nereo, Aliseo e Pancrazio a primo maggio (…), la seconda fu sotto il titolo a S. Pietro Paolo e si celebra a 28 giugno e tutto li cinque luglio seguente e la terza sotto il titolo di S. Maria che si celebra in 7 settembre e per tutti li 14 giorni, nelle quali due ultime fiere è un concorso innumerabile di forestieri[49]”.

Il quadro dinamico è giustificato dalla folta presenza dei forestieri che, in tempo di fiera e di mercato, “vengono nella terra non solo a vendere grani et altre vettovaglie ma per provvedersi di quello le fa bisogno; vi sono molte spezierie di medicina et aromatarii, molte botteghe di merciai ove anche si vendono panni e drappi di seta, molte botteghe di sartori [50]”.

Il secondo perito, pertanto, ribadisce l’importanza mercantile di Campobasso, infatti, definisce la piazza vicina alla porta principale “piazza mercantile” per la presenza di “gran quantità d’animali di ogni spezie e di  vettovaglie”, anzi è “una delle principali terre del Principato et userebbe con ragione di essere annoverata fra le generali terre del Regno[51]”.

La piazza è, dunque, definita mercantile per la vendita del bestiame innanzi tutto, poi di tanti particolari prodotti locali; Campobasso non funge solo da centro di scambio, ma di commercializzazione, infatti, Stendardo testimonia l’ampio sviluppo del ceto artigianale che si è specializzato in tante arti, come  la lavorazione della lana e della seta, del ferro, dei derivati del latte, del miele e delle erbe;  individua le specifiche professionalità: sartori, barbieri, parrucchieri, ferrari, fucilieri, falegnami e fabbri. Sono moltissimi[52], il che significa che superano di gran lunga l’elenco del 1688; nella strada della porta principale si susseguono botteghe di orefici, cappellari, merciai e scarpari, ma anche fornari, pizzicaroli, ramari, sellari, conciapelle, impastari

I campobassani, quindi, hanno sviluppato specifiche  competenze come per il vestire, poiché hanno rafforzato il collegamento tra la produzione in loco della lana e della seta, il lavoro di filatura delle donne e l’arte dei sartori. Sappiamo anche di un’altra specialità locale: la presenza degli aromatari, esperti di erbe che, sfruttando la ricchezza dell’agro, sapientemente le scelgono e le propongono.

La piazza è, dunque, una delle principali, a cui si aggiunge un fattore nuovo: il commercio del grano.  Stendardo segnala, infatti, la vendita del grano nella piazza di Campobasso ed anzi precisa “per causa del mercato e fiere che in esso si celebrano, c’è il granaio non solo della Provincia suddetta, ma di tutte le altre convicine[53]”.

Questo passaggio è importante, perché indica  l’aumento di produzione dei cereali[54] nel circondario di Campobasso, come nel Contado, con la messa a coltura di terre anche collinari e precedentemente lasciate a pascolo o a zona boschiva, per fini commerciali, grazie all’attivazione del porto di Termoli, dove il grano veniva caricato per essere portato persino a Napoli. Da qui comincia quel ruolo del Molise come granaio del Mezzogiorno fino all’Unità d’Italia.

L’aumento di produzione cerealicola favorisce la funzione di Campobasso come mercato del Molise centro-orientale e stabilisce uno stretto rapporto con la zona costiera per la rivendita.  La città svolge quella funzione di raccordo, che le consente di porsi in evidenza all’interno del Contado e alla pari con altri centri delle province confinanti, grazie anche al fondaco della farina, l’ edificio, collocato nel cuore di Campobasso e adibito per il commercio del grano (Lalli, 1980).

Mentre si conferma il ruolo funzionale nella gerarchia urbana della transumanza, si costituisce una sorta di gerarchia interna al Contado con la preminenza di Campobasso, che emerge come centro economico rilevante, al punto da essere sede di riscossione delle gabelle, infatti, secondo il perito, merita che “la regia corte vi fa resedere il suo percettore, suo tesoriere[55]”.

Ma ancora una volta, questa preminenza non rimane un fatto interno, ma rappresenta il riconoscimento di un’ulteriore funzione di Campobasso: quella di essere nodo nella geografia fieristica del Mezzogiorno.

Infatti, Grohmann, studiando lo sviluppo fieristico nel Regno di Napoli, pone in evidenza che, sull’esempio delle famose fiere di Champagne, si diffonde “la fiera come raduno importante di mercanti” (Grohmann, 1969, p. 27), prima nell’Italia settentrionale, poi in quella meridionale, soprattutto nell’età aragonese. Egli ha individuato nel Regno cinque zone economico-geografiche:   “si tratta della fascia abruzzese-molisana, delle Puglie, della Basilicata, della Calabria e della restante area gravitante sulla costa tirrenica” (ibid., p. 57). Nel dettaglio, però, non cita alcuna località del Contado, che accorpa ora alle Puglie, ora all’Abruzzo, dimostrando che lo sviluppo fieristico di Campobasso è di molto successivo all’età aragonese e si verifica appunto dopo la seconda metà del Seicento.

I campobassani sperimentano un modello economico che importano dalle province vicine nel momento in cui il loro borgo diventa un nodo di transito;  è un modello semplice, ma funzionale, poiché le fiere danno un valore aggiunto al loro essere un centro funzionale alla gerarchia urbana della transumanza. Nel Settecento, Campobasso non è solo luogo di passaggio e di scambio, ma di raccordo commerciale e di produzione di beni locali, il che rende la sua  piazza  mercantile, una delle tappe principali della geografia fieristica dell’Italia meridionale nel Settecento.

Conclusioni

Nel 1703, l’abate Pacichelli, nella sua descrizione delle province, Il Regno di Napoli  in prospettiva, a proposito di Campobasso, così scrive: “Vien posta nel lembo di un Colle, che ritien parte della Rocca disfatta. Confassi al nome, aprendo un largo Mercato, e celebre per le fiere negli ultimi di Giugno alla Provincia. Attissimi alla negotiatione del regno son gli abitanti, molti de’quali applicano à cucire, e lavorar nel cuojo”(1979, p.86). 

Questa breve nota trova riscontro nelle ampie descrizioni dei due apprezzi che ben illustrano l’evoluzione di Campobasso, da castrum militare e rurale a luogo di scambio e di commercio, che, in modo lento e graduale, è riuscita ad emulare le città della Capitanata, avendo superato la crisi socio-demografica del Seicento, particolarmente incisiva per la riduzione dei fuochi e recuperando lentamente anche popolazione nel corso del Settecento, registrando a fine secolo circa 5000 abitanti[56]. Il fatto che abbia acquisito funzioni è dimostrato ampiamente da due imprimatur che ottiene, il primo nel 1742 e il secondo nel 1806. 

Il 4 marzo 1742, i demanisti[57]  formalizzano l’acquisto della loro città per il valore accertato da Stendardo -102841,38 ducati- e mettono in atto un compromesso giuridico: un contadino Salvatore Romano sarà apparentemente il feudatario di Campobasso, ma, in realtà, è un prestanome degli acquirenti e dovrà sottostare alla volontà di quelle famiglie che si sono impegnate economicamente e giuridicamente a pagare il riscatto dal regime feudale (figura 8).

Figura 8
 Il riscatto della città  di Campobasso avvenuto nel 1743, per volere dei demanisti


Fonte: Trombetta, 1988, p. 88
Il dipinto dell’artista Arnaldo de Lisio è del 1924 ed è presente nella sede della Banca d’Italia di Campobasso

Nel 1806, inoltre, il riscatto dall’ancient regime, grazie alla presenza dei francesi, favorisce ulteriormente il dinamismo economico di Campobasso che ottiene la designazione a  capoluogo dell’Intendenza di Molise, come esplicito riconoscimento della sua funzione amministrativa ed economica nell’area di appartenenza, per essere la «capitale» del Molise, una delle piccole «capitali», ovvero i capoluoghi di provincia, del Regno[58].

Il ruolo socio-economico, acquisito nel corso del Settecento è, stato determinante, superando il limite individuato nelle città meridionali, considerate nell’età moderna “il dormitorio della struttura bracciantile pugliese o il nido d’aquila militare ed ecclesiastico di un osso appenninico progressivamente degradato”(Colapietra, 1982, p.11).

In questo modo, Campobasso è prevalsa sull’altro centro importante del Molise, Isernia, di antiche origini, anche designata città regia[59], ma, in posizione di lontananza e  di svantaggio rispetto ai transiti della transumanza e delle relative fiere.

Anzi, l’impegno a porsi come luogo di aggregazione sociale e di promozione civile diventa un tratto permanente di Campobasso nel corso dell’Ottocento, benché  i presupposti, che ne avessero segnato lo sviluppo, sono messi in crisi: la transumanza per la chiusura della Dogana, il commercio del grano per il crollo del prezzo, le specializzazioni artigianali per la difficoltà di commercializzarli dopo l’Unità italiana[60].

Tuttavia, la storia urbana di Campobasso e il suo ruolo nel Molise sono ormai definiti; per questi motivi, le fonti sono di particolare pregio perché consentono di ricostruirne l’evoluzione socio-economico nel Settecento e di riconoscere come, sfruttando la sua posizione geografica, sia stato cruciale l’inserimento nella rete urbana e nei processi economici  del Mezzogiorno moderno.

Notas

[1] I limiti dello sviluppo urbano nell'Italia meridionale per il mancato sviluppo dell'autonomia in età comunale, sono messi in evidenza da Rombai: “Invece, si è già enunciato che tale processo non si verificò se non in modo più circoscritto o effimero -perché presto soffocato- nell'Italia meridionale, interessata dalla formazione precoce di un forte potere accentrato che dall'XI secolo trapassò, senza soluzione di continuità (…) fino all'età moderna” (2002, p.195).

[2] Il governo accentrato e assolutistico del Regno di Napoli, pur nell'alternarsi delle dinastie, non consentì la formazione di caratteri mercantili, né lo sviluppo politico delle città, come hanno messo in evidenza Cherubini (1984), Colapietra (1982), Barberis (1997).

[3] Il tema è discusso da C. Klapisch-Zuber (1973), che mette in evidenza come la transumanza, incoraggiata dallo Stato, affretti il declino degli abitati. Ancora, precisa Rombai: “ Il latifondo è accompagnato dall'insediamento accentrato, in villaggi più o meno grandi, talora vere città ( le città contadine)” (2002, p.217).

[4] La provincia del Regno di Napoli, denominata Contado di Molise, si venne costituendo nel XII secolo; dal punto di vista giudiziario dal XVI secolo dipendeva dalla provincia della Capitanata. Campobasso era il feudo più importante del Contado di Molise. La provincia fu poi denominata Intendenza di Molise, nel decennio murattiano, precisamente nel 1806, con un ampliamento dei confini. Dopo l'Unità d'Italia la provincia molisana fu accorpata all'Abruzzo e solo nel 1963 fu costituita la regione Molise.

[5] Un documento conservato in copia presso la Biblioteca dell'Archivio di Stato di Campobasso, Il Rescritto di Adelchi dell'878, attesta la fondazione della città ad opera dei Longobardi in collaborazione con i benedettini ( Gasdia, 1960).

[6] Si identifica come Molise centrale la sezione territoriale costituita da Campobasso e dai comuni della prima e seconda corona del capoluogo, i quali formano anche la comunità montana denominata Molise centrale. Tale sezione territoriale ha una posizione mediana tra l'Alto Molise (sezione territoriale a nord di Isernia) e il Molise costiero. Si veda fig.2.

[7] Il Biferno è un fiume che nasce alle falde del Matese presso Bojano, si snoda per 93 Km attraversando il Molise e sfocia nell'Adriatico; il fiume Fortore nasce nel subappennino beneventano ed entra nel Molise presso Tufara, lo attraversa per poi varcare i confini pugliesi. Dall'altura del MonteBello è possibile controllare le piane di questi fiumi.

[8] La famiglia de Molisio è riuscita, con alterne vicende, a formare e conservare la contea dall'inizio del suo inserimento in Molise. Iniziatore di questa discendenza è il Conte Rodolfo I tra il 1053 e il 1059, in concomitanza con l'affermarsi dei Normanni. Il suo successore Ugo, nel 1144, assume il titolo di conte del Molise (Masciotta, 1988, vol.I). Grazie a questa famiglia l'intera area territoriale, in precedenza denominata Sannio, assume il toponimo di Molise e valorizza Campobasso.

[9] I documenti inerenti alla città di Campobasso e soprattutto alla sua formazione urbanistica sono reperibili con difficoltà soprattutto per l'età medievale e in parte per quella moderna. Se ne occupò lo Scaramella nel 1901 con la pubblicazione “Alcune antiche carte di Campobasso”, nella quale enumera quelle perdute. A sua volta Antonino Mancini tra il 1940 e il 1950, anche per gli incendi provocati dalle bombe della seconda guerra mondiale, si preoccupa di ricopiare documenti di cui non vi è più l'originale. Per i secoli XIII-XIV è importante il documento: Convenzione fra Roberto di Molise, Signore di Campobasso, e gli abitanti di questa terra, suoi vassalli, 13 novembre 1277 ( Mancini, 1942c).

[10] Un passo della Convenzione del 1277 sinteticamente illustra la presenza stabile del mercato durante la fiera dedicata a S. Maria, nel mese di settembre, come occasione di scambio e richiama i mercanti da lontano (Mancini, 1942c).

[11] Nicola Monforte fu Signore di Campobasso tra il 1456 e il 1465 e per le sue ambizioni militari volle trasformare il primitivo sito della città in una roccaforte (Croce, 2001).

[12] Nei documenti Campobasso è denominata castrum fino al XV secolo, poi terra o feudo fino al 1742, quando i suoi cittadini ne pagarono il riscatto.

[13] Attraverso le numerazioni eseguite per motivi fiscali nel regno di Napoli, conosciamo quanti fuochi, ovvero famiglie vi fossero in ogni centro abitato. Ogni fuoco era composto di circa 4-6 membri. Per l'alto numero di fuochi Campobasso era il centro del Molise con maggior carico demografico.

[14] Come scrive D'Andrea: “Nel mese d'Agosto 1656 in questa terra di Campobasso fu la peste et morsero in questo mese et nel mese di settembre del medesimo anno da quattro mila persone et forse più” (1969,p.108). Il quadro complessivo del Contado è veramente drammatico: “nel 1656 la peste colpì gravemente tutti i paesi del Molise e li spopolò(..).nel 1608 nel Contado si registravano 17.107 fuochi, nel 1669 a 13 anni dall'epidemia, se ne registravano 12.805. A Campobasso il numero dei fuochi tra il 1648 e il 1669 passò da 826 a 499”( De Attellis, 1978, p.151). Campobasso, quindi, perde più di un terzo dei suoi fuochi, ma rimane comunque il centro demograficamente più importante.

[15] Si profila per Campobasso la possibilità di cominciare ad essere in una posizione di rilievo e collegata alle province vicine, come scrive D'Andrea: “Quando verso i primi decenni del'500 il Molise divenne soggetto amministrativamente, giudiziaramente e militarmente alla provincia di Capitanata che aveva il centro nella lontana Udienza di Lucera, allora Isernia si trovò in posizione di lontananza e svantaggio rispetto a Campobasso e, nel cammino verso Lucera, soggetta alla obbligatoria tappa campobassana” (1969, p.151).

[16] Per la complessa macchina burocratica del Regno di Napoli, vi erano diverse istituzioni preposte al controllo fiscale, ma l'organo massimo dell'amministrazione finanziaria era la Regia Camera della Sommaria. Si veda anche nota 20.

[17] L'importanza degli apprezzi è notevole nell'amministrazione del Regno di Napoli per il fatto che i feudi venivano messi in vendita

[18] Il Molise ha ricevuto modesta attenzione dagli Spagnoli per quanto riguarda la produzione di carte, poiché non consentiva manovre militari ( Brancaccio, 1991).

[19] Nel documento originale l'autore dell'apprezzo si firma Luigi Nauclerio, tuttavia il suo cognome è stato tramandato anche come Hanaclerio; per quanto riguarda la sua professione si definisce tavolario o tavulario e perito. Non si hanno notizie precise della sua biografia, tuttavia egli è sicuramente di origini campane e non molisane, è inviato dalla Corte Regia e la sua professione è quella di tavolario. Risulta che abbia curato i seguenti apprezzi : Carfizzi (1698), Gambatesa (1692); Gricignano (1702); Jelsi e Campobasso (1688); Palangianiello (1676); Rodi Garganico (1687); Sicignano (1689); cfr. Elenco Apprezzi, a cura di Archivio di stato di Napoli. Conservato presso la Biblioteca dell'Archivio di Stato di Campobasso, il manoscritto contiene solo la parte che riguarda Campobasso, benché nel titolo ci sia il rimando al piccolo comune di Jelsi.

[20] La Regia Camera della Sommaria fu istituita nel Regno di Napoli da Carlo I d'Angiò (1266-1285) e nel tempo divenne l'istituto per eccellenza che si occupava della riscossione dei tributi. Svolgeva anche funzioni giudiziarie per tutto quello che concerneva il pagamento di debiti.

[21] Le notizie riguardanti la famiglia Carafa sono tratte da D'Amico,1997.

[22] Il regio ingegnere Giuseppe Stendardo è un attivo perito di apprezzi, infatti cura quello di Pescolamazza (1723); Petrella (1727); Pietrelcina (1723); Trepuzzi (1729). Lavora per la Commissione liquidatrice del debito pubblico, si veda Elenco Apprezzi, a cura di Archivio si stato di Napoli. Il documento intonso ed originale è conservato presso l'Archivio di Stato di Napoli. Una copia dell'apprezzo è anche presso la Biblioteca dell'Archivio di Stato di Campobasso, come parte integrante del contratto che i cittadini di Campobasso stipuleranno con la Regia Camera, ricopiato nell'Istrumento d'acquisto del feudo di Campobasso da parte di alcuni cittadini.

[23] Il 4 marzo 1742, un gruppo di cittadini di Campobasso formalizza l'acquisto della città per il valore accertato da Stendardo di 102841,38 ducati, risolve la querelle con il Fisco regio, liberandosi delle ingerenze della famiglia Carafa.

[24] L. Nauclerio, Apprezzo della terra di Campobasso, 1688, p.12

[25] Ibid., pp. 15-16.

[26] Dal 1077 per circa otto secoli Benevento è stata un'exclave nel Regno di Napoli assoggettata al dominio pontificio (Bencardino, 1991). A Benevento si svolgevano quattro fiere: la prima coincidente con il 24 agosto S. Bartolomeo, la seconda con il 4 ottobre S Francesco, la terza coincidente con il 12 giugno S. Onofrio, e la quarta coincidente con il 25 marzo Annunciata (Mancini, 1942c).

[27] Nauclerio, op.cit., p. 23.

[28] Ibid., p. 11.

[29] G. Stendardo, Apprezzo della terra di Campobasso, 1732, p. 2.

[30]Ibid., p. 3.

[31] Il braccio tratturale Torella del Sannio-Centocelle si collegava ai due tratturi più importanti: il Celano-Foggia e il Castel di Sangro-Lucera e ad un terzo tratturo, quasi interamente molisano, Della Zittola che collegava Campobasso con l'Alto Molise. Centocelle era una località a 4-5 miglia da Campobasso.

[32] Melillo, 2002.

[33] La migrazione delle greggi e dei pastori aveva bisogno di larghe vie erbose che potessero fornire alimento al bestiame durante il lungo viaggio. I tratturi erano ad un tempo strade e pascoli, intervallati da chiese, taverne e centri abitati. Nell'ampia bibliografia sull'argomento sono di riferimento: Bucci,1988; Paone, 2006; Pellicano, 2007. Per quanto riguarda l'impegno dei Viceré spagnoli a riorganizzare i tracciati viari del regno si veda Giannetti,1985, pp. 243-285.

[34] L'importanza degli atlanti tratturali è stata valorizzata da Petrocelli, 1995. Questi atlanti avevano particolare utilità per la verifica, il controllo e la salvaguardia dei tratturi.

[35] Melillo, 2002.

[36] I fondachi erano grandi magazzini che permettevano la rivendita all'ingrosso di un prodotto, secondo concessioni date dall'amministrazione statale e locale.

[37] Nella convenzione tra Roberto de Molisio e i suoi vassalli di Campobasso del 1277 è citata una fiera di Campobasso che si svolgeva ogni anno in coincidenza della festa mariana dell'8 settembre, nello spazio antistante la porta principale (Nobile, 1979).

[38]Nauclerio, op.cit., p. 8

[39] Stendardo,op.cit., p. 3.

[40] Questo borgo raccoglieva coloro che si occupavano dei cavalli e che lavoravano il ferro.

[41] Nauclerio, op.cit., p. 8.

[42] Ibid., p. 15.

[43] Ibid., p. 16.

[44] Ibidem.

[45] Ibid., p. 19.

[46] La cifra destinata al Duca Carafa è riportata da Nauclerio, op.cit; il guadagno delle fiere è confermato da entrambe le perizie.

[47] Nauclerio, op.cit., p. 20.

[48] Alle fiere di giugno e di settembre, si aggiunge quella di maggio che soppressa nel Seicento per la concorrenza di Foggia, ritorna in auge, nel Settecento, nella ricorrenza della festività dei Santi Nereo e Pancrazio, il primo maggio.

[49] Stendardo, op.cit., pp. 20-21.

[50] Ibid., p. 22.

[51] Ibid., p. 18.

[52] Nauclerio si limita ad una descrizione più asciutta e breve del ceto artigiano, a testimonianza che è un processo in fieri.

[53] Ibid., pp.22-23. Ma a detta di Stendardo l'agro produce non solo grano, ma anche orzo, legumi, frutti, vite, poco olivo, e in più c'è la lavorazione dei derivati del latte e del miele. Sono tutti prodotti che favoriscono le arti locali come i formaggi, il miele, mentre il consumo del vino è tutto locale perché non può competere con quello delle province limitrofe.

[54] L'intensificarsi della produzione granaria è trattato da autori molisani vissuti nel Settecento: Galanti, 1781; Cuoco, 1812; Longano, 1988. Le carestie del 1760-1764 comportarono particolari timori nella popolazione e spinsero a disso-dare la maggior parte dei territori e ad avvantaggiarsi dei caricatoj non solo di Termoli, ma di Campomarino per le esportazioni.

[55] Stendardo, op.cit., p. 22.

[56] Le notizie sui fuochi e sul numero degli abitanti di Campobasso sono riportate da Masciotta, 1988, II vol.

[57] Sono definiti demanisti i cittadini che recuperano la somma necessaria e riscattano la città dal fisco regio e dal regime feudale

[58] Nel momento in cui Napoleone Bonaparte riunisce sotto la sua corona il Regno d'Italia ed affida il Regno di Napoli nel 1806 a Giuseppe Bonaparte, poi, nel 1808, a Gioacchino Murat, si apre un decennio di fervore proprio nel Contado di Molise, che assume connotati amministrativi e politici di altro valore perché trasformato in Intendenza di Molise. La legge dell'8 agosto 1806 divideva il Mezzogiorno in province, istituiva le intendenze provinciali, riformava i corpi costitutivi dei Comuni. Sul modello francese delle prefetture venivano razionalizzati i rapporti centro-periferia. L'intero sistema doveva sopprimere i poteri feudali.

[59] Isernia è l'altra città importante del Molise, fondata dai Sanniti, quando dominarono quest'area nel V-I secolo a.C., poi colonia romana. Dopo le alterne vicende medievali, ebbe una certa rilevanza come città regia, ma dal 1518 fu soggetta a diversi feudatari. Data la sua posizione fu tagliata fuori dai traffici della transumanza

[60] I presupposti economici che hanno favorito Campobasso decadono nel corso dell'Ottocento: prima vi fu la chiusura della Dogana nel 1806, poi, con l'Unità d'Italia, la commercializzazione del grano molisano e dei prodotti artigianali divenne sempre più complessa e difficile, per il confronto con il mercato nazionale e quello internazionale.

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Ficha bibliográfica:

SARNO, E. Campobasso: nodo di traffico nella geografia transumante e fieristica del Mezzogiorno italiano negli apprezzi del 1688 e del 1732. Biblio 3W. Revista Bibliográfica de Geografía y Ciencias Sociales, Universidad de Barcelona, vol. XIII, nº 797, 25 de septiembre de 2008. <http://www.ub.es/geocrit/b3w-797.htm>

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