Biblio 3W
REVISTA BIBLIOGRÁFICA DE GEOGRAFÍA Y CIENCIAS SOCIALES
Universidad de Barcelona 
ISSN: 1138-9796. Depósito Legal: B. 21.742-98 
Vol. XVI, nº 908, 30 de enero de 2011

[Serie  documental de Geo Crítica. Cuadernos Críticos de Geografía Humana]

 

IL DECENNIO FRANCESE E LA QUALITÀ DELLA VITA IN UNA PROVINCIA DEL MEZZOGIORNO ITALIANO:
ANALISI GEO-STORICA DELLA STATISTICA MURATTIANA

 

Emilia Sarno, Ricercatrice ANSAS Molise, Università del Molise
sarno@unimol.it; emilia.sarno@tiscalinet.it


Recibido: 20 de febrero de 2010. Devuelto para revisión: 30 de marzo de 2010. Aceptado: 25 de octubre de 2010


Il decennio francese e la qualitá della vita in una provincia del Mezzogiorno italiano: analisi teo-storica della statistica muratiana (Riassunto)

Il contributo focalizza l’attenzione sul Mezzogiorno italiano nel  decennio francese (1806-1815) e analizza nel dettaglio l’inchiesta - la Statistica- voluta da Murat, re di Napoli,  nel 1811 per conoscere il territorio del Regno. L’obiettivo di questo studio è  quindi di analizzare in modo specifico la documentazione della Statistica riguardante una delle province del Mezzogiorno italiano, il Molise, e mostrare la sua particolare utilità per analizzare spazi geografici poco noti, discuterli tramite il confronto con altri documenti e porre in evidenza la modernità di una testimonianza che permette di ragionare di qualità della vita agli inizi dell’Ottocento.

 L’inchiesta, pertanto, è una testimonianza significativa per gli studi geografici da un punto di vista generale perché fornisce informazioni territoriali, dal punto di vista specifico perché affronta tematiche innovative come la qualità della vita. In questa logica si è prescelta un’area campione per proporre un modello euristico di analisi geografica di questo importante documento.

Parole chiave: analisi geo-storica, Mezzogiorno italiano, indicatori territoriali



The French decade and the quality of life in the province of Southern Italy: geo-historical analysis of the Murat Survey  (Abstract)

This work focuses its attention on the Southern Italy during the period of French dominion (1806-1815) and analyses the Survey - termed Statistica - desired by Murat, king of Naples,  in 1811  to gather information on the territory of the kingdom of Naples.

The aim of this study is therefore to analyse in a specific way the documentation produced by the Survey  covering one of the provinces of Southern Italy, Molise, to show its particular utility in the analysis of geographical spaces which are little-known, discuss them by making comparison with other documents and to highlight its modernity with its notions of quality of life elaborated at the beginning of the 18th century. The Survey is therefore an important document for geographical studies in a general sense, in that it supplies information on the territory, and in a specific sense because it deals with innovative themes such as the quality of life. A sample area has been chosen to propose a heuristic model of geographical analysis of this important document.

Keywords: geo-historical analysis, Southern Italy, territorial indicators


La década francesa y la calidad de la vida en una provincia del Sur italiano:  análisis geo-histórico de la investigación de Murat (Resumen)

Este trabajo centra su atención la Italia meridional en la década francesa(1806-1815) y analiza con detalle la investigación realizada por Murat en 1811 para conocer el territorio de Italia meridional, el cual políticamente era el Reino de Nápoles. El objetivo de este estudio es, pues, analizar una parte de esta investigación, en concreto, la documentación relacionada con una de las provincias del Sur italiano, el Molise, y poder así demostrar la utilidad particular de este estudio a la hora de analizar espacios geográficos poco conocidos, discutirlos a través de la comparación con otros documentos y poner en manifiesto la modernidad de este testimonio, el cual nos permite analizar la calidad de vida a principios del siglo XIX.

Por lo tanto, esta investigación trata de una documentación significativa para los estudios geográficos tanto desde un punto de vista general, porque facilita informaciones territoriales, como desde el punto de vista específico, porque afronta temáticas innovativas como la calidad de vida. Siguiendo esta lógica, se ha escogido un área como muestra para proponer un modelo eurístico de análisis geográfico de este importante documento.

Palabras clave: análisis geo-histórico, Italia meridional, indicadores territoriales.


La presenza francese nel Mezzogiorno 

Il Regno di Napoli ebbe un ruolo fondamentale  nell’assetto napoleonico dell’Italia per la sua posizione strategica nel Mediterraneo (figura 1). Il Regno era un’area periferica, fondata su un’economia agricola, dove il latifondismo  limitava l’avvio di processi imprenditoriali. L’impostazione politica era assolutista e il re Ferdinando IV (1759-1805)   aveva punito gli aristocratici che avevano partecipato ai moti rivoluzionari degli anni precedenti. La capitale, Napoli, aveva una funzione dominante e accentratrice per la densità di popolazione e per la radicata presenza dei nobili. Le province erano affidate a nobili famiglie che le governavano secondo regole e consuetudini che risalivano persino al Medioevo. In questo contesto prettamente feudale e arretrato nel 1806, per volere di Bonaparte, il Regono di Nopoli fu affidato dapprima a Giusepe Bonaparte e successivamente, nel 1808, a Gioacchino Murat.

Nel giro di circa dieci anni, il dominio napoleonico favorì un rapido ammodernamento delle strutture istituzionali, l’abolizione dei privilegi di nascita e di ceto, la riorganizzazione dello Stato e la razionalizzazione del prelievo fiscale. L’abolizione della feudalità, la fine dei fidecommessi, l’eversione dell’asse ecclesiastico, l’abolizione delle decime e di ogni altro vincolo contribuirono alla nascita di una società nuova, sebbene  la subordinazione del regno napoletano agli interessi francesi ne condizionasse comunque l’economia. 

 L’impegno maggiore di Giuseppe Bonapartefu rivolto alla riforma inerente all’eversione feudale del 6 agosto 1806 per sopprimere senza alcun indennizzo tutte le giurisdizioni baronali, i privilegi fiscali e le immunità; l’opera fu poi completata da Gioacchino Murat. L’impegno complessivo del nuovo governo fu l’introduzione di un nuovo sistema fiscale e giudiziario con l’abolizione dei diritti esclusivi dei baroni, considerati la causa del mancato sviluppo di questo territorio.

L’apporto politico francese fu decisivo per quanto riguarda la revisione della geografia politica delle province e la necessità di ridisegnarne i confini e le funzioni. Il nuovo governo avviò un’analisi del problema e promulgò la legge dell’8 agosto 1806, che divideva il territorio in province e distretti e istituiva le intendenze provinciali, ispirate al modello francese delle prefetture.Sul modello francese furono razionalizzati i rapporti centro-periferia e la figura  dell’intendente garantiva, come rappresentante politico, la realizzazione di questa nuova organizzazione a scala provinciale.

La suddivisione amministrativa era coerente ad una politica che voleva garantire la governance territoriale nel rispetto delle specifiche identità e soprattutto nell’intento di agevolare l’intera macchina statale. Questo impegno fu sorretto anche dagli studiosi e intellettuali locali che si misero a disposizione dei francesi per favorire il rinnovamento delle loro terre; divennero preziosi gli studi geografici e cartografici perché si voleva fornire una descrizione attendibile e veritiera delle condizioni di vita degli abitanti del Regno per poterle finalmente migliorare.

Figura 1. Le province del Regno di Napoli nel Settecento e in evidenza il Molise, provincia scelta come area del presente studio
Fonte: Petrocelli, 1995.

La Statistica murattiana  e il nuovo corso politico

Nell’ottica degli studi territoriali il governo francese promosse la realizzazione della Statistica. Gioacchino Murat, che successe a Giuseppe Napoleone, e i suoi ministri soprattutto Giuseppe Zurlo - eminente politico di  una delle province del Regno: il Molise - ritennero necessario acquisire un quadro chiaro della situazione del Regno e avviarono una capillare indagine conoscitiva sul suo stato naturale, fisico, demografico, economico e sociale. La Statistica fu realizzata nel 1811 e i dati raccolti sono depositati presso gli archivi provinciali.

L’indagine si collegava ad altre condotte in Francia e era determinata dalle condizioni, come prima si accennava, nelle quali Murat e i suoi uomini avevano trovato il Regno di Napoli, uno stato votato all’agricoltura estensiva, con  vie di comunicazione scarse e disagevoli, con deboli capacità manifatturiere e una complessiva arretratezza socio-culturale. Inoltre, vi era un forte distacco tra la capitale Napoli e le province, spesso scarsamente conosciute. L’obiettivo politico della Statistica era quello di tracciare un quadro completo del Mezzogiorno in modo da avviare adeguate scelte politiche (Martuscelli, 1979).

L’obiettivo culturale era quello di sradicare un’organizzazione di stampo feudale e medievale e dare maggiore attenzione ai comuni che divennero gli alleati dei nuovi ordinamenti istituzionali e collaboravano con lo stato centrale. L’indagine infatti promosse un processo di conoscenza a scala comunale utile a chi aveva ridisegnato la geografia amministrativa del Mezzogiorno, non più suddiviso in feudi, ma appunto in intendenze, ovvero province, e comuni.

Inoltre, i francesi volevano anche mettere a fuoco gli aspetti peggiori del feudalesimo: gli abusi, le forme di sfruttamento, le condizioni di estrema povertà dei contadini. Pertanto questa ricognizione  rientrava nella nuova concezione della struttura statale e del riformismo settecentesco.

Essi fecero riferimento alla scienza statistica che ebbe un grande sviluppo nel periodo illuminista fondandosi tanto sull’osservazione diretta quanto su una attendibile e scientifica rilevazione dei dati. Il governo incaricò Luca de Samuele Cagnazzi,  professore di statistica presso l’Università di Napoli, perché mettesse a punto un’inchiesta riguardante le province attraverso appositi questionari.

In quest’ottica la Statistica è una miniera preziosa per conoscere il genere di vita del popolo del Regno di Napoli, perché emergono informazioni dettagliate sulle diverse realtà provinciali e sub-provinciali, cioè i circondari(1). Per ogni provincia si scelsero persone competenti, generalmente politici o amministrativi, che raccogliessero i dati.

Il piano d’indagine fu stabilito in relazione agli obiettivi e i tecnici impegnati risposero tutti in modo coerente agli stessi quesiti che vertevano per ogni provincia su  quattro sezioni generali:

A queste sezioni bisogna aggiungere le indagini demografiche effettuate annualmente dagli intendenti provinciali e sempre ben conservate negli archivi. Bisogna chiarire che gli studiosi non sono concordi se le indagini demografiche fossero considerati parte integrante della Statistica del 1811 e della querelle dà ampie indicazioni la Martuscelli (1979). In realtà i dati demografici furono raccolti per più anni e non solo per il 1811 e quindi devono essere considerati complementari ma non esistenti solo in funzione dell’ampia indagine territoriale.

Inoltre, delle quattro sezioni quella più ampia e consistente è la seconda perché il governo mirava ad  un quadro chiaro sulla qualità della vita delle popolazioni per poi prendere i provvedimenti necessari.La seconda sezione è infatti divisa in una serie di indicatori che sono utili per  conoscere a fondo i seguenti aspetti:

Questi elementi permettono di ricostruire un quadro preciso della  vita degli abitanti del Regno in relazione alla qualità dell’acqua e dei cibi, alla struttura degli edifici, all’abbigliamento,  ai rischi per la salute; inoltre fanno individuare anche le specificità di ogni area.

L’indagine fu quindi particolarmente accurata e  la Statistica fu un’importante operazione politico-culturale senza tuttavia determinare per la fine del regime napoleonico i cambiamenti sperati.


Analisi e discussione della Statistica dal punto di vista geografico

La Statistica, come  si anticipava, permette di analizzare e discutere le caratteristiche degli insediamenti e la qualità della vita degli abitanti. Le stesse modalità di raccolta dei dati e la scrittura descrittiva  ne fanno un valido riferimento per l’analisi territoriale. Infatti, rappresenta una sorta di spartiacque tra l’ancient regime e il nuovo corso di ammodernamento che i francesi vogliono dare.

Essa è un documento particolarmente utile dal punto di vista scientifico perché permette di conoscere  spazi geografici, anche poco studiati,  nel passaggio nevralgico dall’età moderna a quella contemporanea.

Governare uno stato straniero chiede alla classe politica francese di non limitarsi come  nel passato a sfruttare i territori e a sostenere solo la classe nobiliare, ma di aprirsi alle esigenze popolari  e favorire lo sviluppo complessivo del Mezzogiorno.

Una tale indagine è corrispondente alla mentalità illuminista e alla visione della geografia in quel periodo. Come chiarisce Vallega (2003), l’impostazione di Kant che considerava i luoghi il fulcro della conoscenza geografica, da analizzare e studiare, permea la cultura del tempo. L’interesse politico di ricostruire in modo attendibile i territori si incontra con questa visione culturale e se ne appropria. L’inchiesta è il frutto più interessante dell’ideologia illuminista e il territorio è considerato un oggetto di studio, inteso come la sintesi di condizioni ambientali e azioni umane. Anticipa in una certa misura il concetto di genere di vita poi elaborato da Ratzel e persino esprime una visione innovativa perché vuole migliorare le condizioni di vita delle popolazioni e non limitarsi ai soli aspetti materiali e alle attività produttive.

Questa impostazione culturale rappresenta una delle novità apportate dai francesi nel periodo di dominio napoleonico dell’Italia e, attraverso gli indicatori prescelti dagli statisti, emerge non solo il modo di vivere degli abitanti del Mezzogiorno italiano, ma proprio il concetto estremamente moderno della qualità della vita. I periti non solo descrivono, ma devono fare attenzione a ciò che produce danno alla salute e all’esistenza con l’intento di cambiare in meglio la condizione di contadini e bisognosi.

Pertanto, l’obiettivo del presente studio è  quello di analizzare in modo specifico la documentazione della Statistica riguardante una delle province del Mezzogiorno italiano, il Molise, e mostrare la sua particolare utilità per analizzare spazi geografici poco noti, discuterli tramite il confronto con altri documenti e porre in evidenza la modernità di una testimonianza che permette di ragionare di qualità della vita agli inizi dell’Ottocento.

I dati, come si è anticipato, sono raccolti, in base a precisi indicatori;  la seconda sezione è quella scandita con maggiore rigore scientifico e tramite i seguenti fattori: le abitazioni, l’alimentazione, l’abbigliamento, le malattie diffuse, gli operatori sanitari, le nascite. Questi indicatori considerati unitariamente concorrono a formare un vero e proprio modello per conoscere la qualità della vita delle popolazioni, tramite alcuni aspetti fondamentali come la salute, la continuità della specie, l’andamento dell’esistenza.

In questa logica la ricostruzione di una specifica area di studio, la provincia del Molise, consentirà di delineare  un modello euristico di analisi geografica di questo importante documento. Si illustreranno alcuni aspetti - abitazioni, alimentazione, abbigliamento - per fornire il contesto socio-economico del Molise, poi si tratterà con maggior dettaglio il tema delle patologie e degli operatori sanitari che è interessante per l’atteggiamento scientifico con il quale è condotto. Considerare lo stato di salute della popolazione è un atteggiamento innovativo rispetto ai tempi in quanto vi è molta attenzione alle condizioni fisiche, alla fertilità, alla diffusione di morbi; inoltre finalmente viene dato un certo risalto alla figura femminile attraverso le indagini sulla maternità e sulle nascite. In ultimo, infatti,  si discuterà la condizione femminile che finalmente emerge dal silenzio e che ha un ruolo importante sia biologico sia sociale in questo spazio geografico.

L’area campione: la Provincia di Molise

  Il Regno di Napoli era suddiviso in diverse province che furono riorganizzate dalla nuova geografia amministrativa voluta da Murat. Una di queste era il Molise che, all’arrivo dei francesi, era la più povera provincia del Regno di Napoli, incassata tra le altre:  Terra di Lavoro,   Abruzzo, Principato Ultra  e   Capitanata. Il Molise era costellato di feudi e solo i due centri maggiori, Isernia e Campobasso, dal 1742,  erano riconosciuti come città (figura 2).   Era una provincia demografica-mente limitata, disarticolata nella sua organizzazione e di fragile produttività; era stata particolarmente condizionata dalle carestie e dalle pestilenze del Seicento, infatti nel 1788 raggiungeva appena i 178.457 abitanti, recuperando parzialmente rispetto alla crisi precedente, con un andamento comunque  inferiore rispetto alle altre province confinanti.

Figura 2. Il Molise secondo i confini del 1811 Fonte: Petrocelli, 1995.

L’attivismo francese avviò una serie di censimenti per osservare l’assetto demografico di questa provincia come delle altre. I dati del 1814, consultati sempre presso l’Archivio di Stato di Campobasso, registrano, rispetto agli anni precedenti, un aumento della popolazione del Molise,  che raggiunse le 304.434 unità, aumento dovuto però all’ampliamento dei confini e quindi al maggior numero di comuni che dal 1811 erano divenuti 140 (figura 3).

Figura 3. La popolazione del Molise secondo il censimento del 1814: in evidenza i centri maggiori e i circondari
Elaborazione dalla documentazione dai dati demografici della Statistica, 1814.

La distribuzione della popolazione era diffusa in piccoli e medi centri, difatti pochi si distinguevano per una presenza elevata di abitanti; le città più importanti per funzioni amministrative e politiche, Campobasso e Isernia, raggiungevano la prima 7667 residenti e la seconda  5179. Altri due centri  Agnone, con 8278 abitanti, e Morcone (2) con 5339,  si facevano notare per l’elevato numero di presenze, ma non per funzioni amministrative. La provincia del Molise era, dunque, prettamente rurale e formata da piccoli e medi comuni che si presentavano come la naturale evoluzione dei tanti feudi precedenti.

 La povertà era diffusa, l’attività  principale era l’agricoltura con esiti limitati, l’artigianato era appannaggio dei centri principali e molti molisani si dedicavano alla transumanza sottoponendosi a spostamenti temporanei con il bestiame  nella vicina regione della Capitanata, l’odierna Puglia. La cerealicoltura e la pastorizia non erano ancora comunque sufficienti a sfamare la popolazione.

I francesi con la legge di eversione della feudalità e con i loro cambiamenti legislativi aprirono  un decennio di cambiamento  nel Contado di Molise, che assunse connotati amministrativi e politici di altro valore perché trasformato in Provincia di Molise.

La nuova provincia fu avvantaggiata  dal fatto che alcuni suoi  valenti rappresentanti erano nel governo centrale come Vincenzo Cuoco e Giuseppe Zurlo, intellettuali e politici molisani; quest’ultimo si era già battuto per una nuova riorganizzazione amministrativa del Regno, mostrando l’importanza del decentramento e la necessità di una revisione della geografia politica delle province.

Le novità che riguardarono il Molise furono diverse: Campobasso, centro collocato nel cuore della provincia, fu prescelta come capoluogo provinciale, furono poi garantiti l’autonomia dalla provincia dalla Capitanata e l’allargamento dei confini fino all’acquisizione della fascia costiera adriatica.

Inoltre, furono avviati l’istituzione del tribunale e i consigli provinciali. Tutto ciò fu importante per dare spazio alla classe dirigente locale e avviare forme di rinnovamento nell’agricoltura, nella panificazione territoriale e viaria. Tuttavia, per obiettivi di tal genere era ancora più importante la raccolta dei dati attraverso l’inchiesta così da conoscere appieno le condizioni di questa provincia e poterla ammodernare. I risultati dell’indagine sono depositati presso l’Archivio di Stato  di Campobasso, attuale capoluogo regionale del Molise, e consentono di considerare come fosse questo spazio geografico nel 1811.

 Come si accennava prima, la prima sezione di questa indagine si preoccupa innanzi tutto di stabilire le condizioni territoriali con particolare attenzione allo stato dell’agricoltura. Il territorio è visto in un’ottica fisiocratica, secondo i dettami dell’illuminismo: è la fonte della ricchezza di uno stato. Il Molise è una provincia prevalentemente montuosa, nel quel vi sono aree coltivabili e aree non coltivabili da utilizzare per il pascolo e così è essenzialmente descritta dai periti.

Come aveva già scritto uno studioso locale, Francesco Longano, nella relazione intitolata Viaggio per lo Contado di Molise del 1786, il Molise: «ha una superficie all’estremo ineguale fatta di monti, valli, dirupi». Infatti, si estende su una superficie complessiva di circa 4400 km2;  la montagna occupa circa il 55,3 per cento del territorio regionale, la collina, di natura argillosa, si espande per circa il 44,7 per cento della superficie regionale, quindi paesaggi predominanti sono quelli montani e collinari; le caratteristiche ambientali hanno da sempre condizionato l’economia regionale e hanno agito nei secoli scorsi sulla distribuzione della insediamenti (Cataudella, 1969). L’eccezione dei 35 chilometri di costa bagnati dall’Adriatico fu una conquista proprio del governo francese che diede a questa regione, fino ad allora interna, la possibilità dello scalo marittimo. Un tale territorio era sfruttato al massimo dai contadini soprattutto per la produzione cerealicola necessaria per il consumo interno, ma anche come fonte di commercio.

I disagi dovuti alla montuosità emergono nell’inchiesta insieme alla scarsa utilizzazione dell’irrigazione, al fatto che i  fiumi fossero senza argini e avessero corsi impetuosi. Le strade non erano affatto ben tenute e le comunicazioni erano difficili perché ostacolate dalla conformazione del territorio e dalla mancanza di ponti adeguati. La stessa distribuzione degli insediamenti si era dovuta adeguare ed era stata preferita la collocazione sulle alture per i rischi idrogeologici delle zone collinari argillose.

Questo contesto, fino ad allora poco considerato, emerge nella documentazione; per questi motivi sono stati esaminati i fascicoli della Statistica depositati presso l’Archivio di Stato di Campobasso e riguardanti i circondari molisani di Agnone, di Isernia, di Campobasso e di Larino con i relativi comuni ( figura 3). Inoltre, questi documenti sono stati posti a confronto con due perizie che riguardano la città di Campobasso del 1688 e del 1742, utili per rendere più chiara la ricostruzione (3).


Il primo indicatore: le strutture abitative

La struttura insediativa in Molise si fonda su piccoli e medi nuclei  accentrati e con una diffusione solo recente dell’insediamento sparso. Gli insediamenti accentrati sulle alture sono stati favoriti dalla fragilità idrogeologica delle valli e dalla diffusione della malaria. I nuclei abitati sono generalmente di limitata capienza demografica e costruiti intorno ad una torre, al castello o alla chiesa. All’interno di questi piccoli comuni, i redattori dell’inchiesta rilevano tre tipologie di abitazioni: quelle comode dei benestanti, quelle dei contadini e poi quelle dei bisognosi.

I benestanti hanno case di due, tre piani, con i balconi al’esterno e ben adornate all’interno anche di quadri. Hanno diverse stanze e cortili interni; sono abitazioni ben superiori alle quotidiane necessità.

 I contadini sia nei comuni sia nelle campagne hanno case comunque dignitose, a due piani, ma con una stanza ciascuno: la stanza superiore per dormire, la stanza al piano basso per il lavoro e per gli animali (figura 4).

Figura 4. L'organizzazione interna delle abitazioni rurali molisane
Fonte: Cataudella, 1960.

 Il focolare è elemento distintivo e posto generalmente al piano superiore dove vi è la camera da letto; mentre il piano basso serve appunto per gli animali e le derrate alimentari.A Morcone, uno dei comuni con il maggior numero di abitanti, “la forma delle abitazioni del basso popolo per lo più è di due piani formati di pietra calcarea e calce; uno inferiore superiore l’altro. Il superiore è destinato atenere il letto ed il focolaio. Inferiore a conservarvi le derrate ed atenervi animali di bassa corte”(4).

I più poveri hanno però abitazioni anguste, sudice, umide e sporche, anzi la maggior parte abita insieme con i maiali, gli asini e altri animali per cui respirano aria malsana (figura  5). Vi sono comunque aspetti specifici delle diverse aree, infatti in Alto Molise, nel circondario di Agnone, “le abitazioni in generale sono superiori al bisogno della popolazione, mentre moltissime case sono inaffittate. Il contadino non ha sempre casa propria ed vicino ad emigrare. Esso ha sempre la stanza comune coi polli e il suo letto si trova sopra la stalla del porco all’asino e respira questa causa in tempo di notte un’aria mal sana” (5) (figura 5).

Questo accade nei comuni di montagna, dove l’altitudine richiede adattamento alla rigidità del clima, con l’uso della legna nel lungo inverno, benché vi sia il vantaggio di ottima acqua.Nelle altre zone, pur con alcune differenziazioni nella struttura e nei materiali utilizzati, è comunque marcata la distinzione tra le tre categorie sociali. L’igiene diventa un elemento discriminante tra i contadini e  i più poveri; infatti i contadini possono comunque permettersi case non umide, pulite e decenti, riscaldate dalla legna. I più poveri invece vivono spesso nella sporcizia e in ricoveri umidi e maleodoranti che poi diventano causa di malanni.

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Figura 5. Casupola rurale in Alto Molise.
Fonte: Cataudella, 1969.

I periti si soffermano anche sulle altre semplici strutture presenti: il carcere, gli ospedali ben poco diffusi, i cimiteri, i macelli; caratteristica comune è la scarsa cura per queste strutture pubbliche. Le strade sono alquanto proporzionate, la maggior parte non lastricate, e generalmente coperte di spazzatura. I letamai sono fuori dell’abitato, poche stalle sono a disposizione dei vetturini. I ricoveri per gli animali, come gli ovili, sono nella periferia dei centri abitati, dove trovano spazio anche i mulini e qualche fabbrica.  A Guglionesi, ad esempio, “le case dei poveri sono bastantemente succide a causa degli animali che vi dimorano. Nella Chiesa vi sono i sepolcri che spessissime volte si aprono per buttarvi i cadaveri degli individui, che quasi alla giornata non mancano essendo il Paese bastantemente grande” (6).

La Statistica,  nel 1811, fotografa la struttura abitativa del Molise costituitasi in età medievale,  che in gran parte permane tuttora con la disposizione delle costruzioni a due piani accentrate rispetto al centro storico e disposte a corona. Se si opera un confronto con lo studio effettuato nel 1969 dal geografo italiano, Cataudella, sulla casa rurale in Molise, si può notare che dopo circa centocinquanta anni  le strutture abitative non sono molto cambiate e solo determinate differenze sociali si sono attenuate.

Nell’inchiesta del 1811 le condizioni dei bisognosi sono, però, puntualizzate immediatamente dai periti che danno molta importanza al tratto culturale dell’igiene; la pulizia è l’elemento che separa nettamente il contadino dal povero. Altro aspetto che colpisce i compilatori è la scarsa cura per le strutture pubbliche perché esse non erano considerate utili nel modello organizzativo feudale del Regno di Napoli. Il rispetto dell’igiene e delle istituzioni pubbliche non era praticato nel Mezzogiorno e rappresenta una delle novità culturali  del governo francese, trasmesse a noi attraverso le testimonianza di questi dati.


Il secondo indicatore: l’alimentazione

La prima risorsa vitale presa in esame è l’acqua per conoscere come si approvvigionino i molisani, al pari degli abitanti di tutto il Regno. L’acqua che scorre dai monti vicini ai centri abitati è leggera e limpida; in poche zone si riscontra  la presenza di acque limose e pesanti. Il vero danno è la lontananza dai centri abitati e la difficoltà di approvvigionamento. Inoltre, i molisani si sono adattati a conservarla in cisterne e a canalizzarla attraverso fonti e fontane.

La base dell’alimentazione è il pane fatto nelle case private: la qualità del frumento fa ancora una volta la differenza. Il buon pane è quello di frumento scelto, mentre il bisogno costringe a  mescolare la farina di grano con altre di semi scadenti e diventa persino un danno per chi se ne nutre; infatti quando è mescolato con semi di lino produce tremore, sopore e debolezza. I forni che lavorano il pane per i poveri  utilizzano non a caso il frumento peggiore.

Così scrive il perito che conduce l’indagine ad Agnone, “il primo pane è di puro frumento, il quale trovandosi misto al sollium timulentum lini produce tremore, sopore, e debolezza in coloro che ne fanno uso. (…) . I popoli più culti che abitano le alpi italiche, le quali sono simili in tutto ai nostri appennini hanno miglior frumento e per conseguenza miglior pane del nostro. Essi perché raccolgono tardi al pari di noi il grano, lo mettono sotto dei coperti, lo battono nei tempi perduti per la coltivazione e lo purgano con una macchina semplicissima detta ventilatore. Noi al contrario lo ammassiamo allo scoperto assoggettandolo alle frequenti piogge, si trebbia in aie argillose e spesso umide (…). Il pane nostro dunque nei granai è sempre impuro e cretoso e tale si manda ai mulini (…). La violenza avanzata delle acque che li animano, la scelta delle pietre, che servono alla costruzione della macina e l’azione quasi di contatto delle medesime, mette la farina nello stato di divenire, come il volgo dice, concotta cioè oltremodo assottigliata ed eccessivamente calda” (7).

Il passo è particolarmente interessante perché opera il confronto tra Nord e Sud; le diverse condizioni di conservazione e di macinatura incidono sulla qualità del pane e fanno la differenza nella vita quotidiana.

D’altronde, il pane è l’ alimento fondamentale per molti, mentre altri alimenti sono per pochi. Le carni sono di ottima qualità soprattutto per la presenza di allevamenti, mentre il pesce proviene dall’Adriatico, quasi sempre fresco, però data la distanza dal mare costa il triplo. Le persone comode, cioè benestanti, fanno uso di carne e di pesce, ma l’infima classe si nutre di minestre mal condite. A disposizione di tutti ci sono gli ortaggi e i legumi.

L’olio,  di buona qualità, chiaro, limpido, non è sufficiente perché “nei territori di tutte le comuni vi sono olive, ma il frutto che se ne percepisce non basta per soddisfare i bisogni delle popolazioni per le gelate che quasi ogn’anno portano la desolazione di questi vegetali” (8). La frutta è poca e di scarsa qualità, si producono pere, mele, prugne. L’uva è pregiata solo in alcune zone e solo in queste il vino è altrettanto buono.

Attraverso l’inchiesta si può fare il punto della situazione e comprendere la qualità della vita di una civiltà contadina e povera, semplice nei gusti per abitudine e necessità. 

Il Molise produceva essenzialmente grano,  prima di tutto perché alimento basilare, poi, tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, perché tende ad aumentare la produzione granaria (9) anche per la possibilità di poterlo commerciare grazie al porto di Termoli. Il capoluogo Campobasso in modo specifico  non punta solo sul suo agro per aumentarne la coltivazione, ma convoglia il commercio del grano della parte orientale del Molise e ne influenza anche l’andamento del prezzo per la sua funzione di mercato centrale (Lalli, 1980). Insomma, si produce per il consumo interno ma anche per il commercio; nel tempo  vanno a diminuire le altre produzioni a discapito del consumo interno di frutta e verdura.

La produzione cerealicola, indiretto indicatore dell’inchiesta sull’alimentazione, è collegata tanto alle caratteristiche geo-morfologiche del territorio, quanto alla critica e debole struttura economica di questa provincia. I contadini avevano esteso la coltivazione dei cereali alle zone collinari e montuose, abbattendo i boschi per recuperare maggiori spazi agricoli. Tuttavia, questo ampliamento facilitava il tasso di erosione e rendeva i fiumi ancora più impetuosi; gli stessi terreni nelle zone alte non erano negli anni costantemente fertili. I contadini si affannavano molto per avere delle rese accettabili e dovevano ridurre gli spazi per altre produzioni. Insomma, ci troviamo di fronte ad una popolazione che nella maggioranza dei casi sopravvive appena, avendo a disposizione solo il necessario per sfamarsi.


Il terzo indicatore: l’abbigliamento

Nell’abbigliamento si riflette la condizione sociale, ma anche la differenza di genere. Gli abiti sono confezionati in casa dalle donne, tessuti di diversi colori, generalmente di lana. “Solo l’infima classe si vede mal concia con abiti rattoppati e laceri e quel che è peggio senza nettezza e pulizia nella biancheria d’ambi i sensi” (10).

I benestanti si distinguono per l’uso di pellicce nel periodo invernale e i compilatori precisano che sono utilizzate soprattutto dagli uomini.  La biancheria è pulita per entrambi i sessi, le donne sposate utilizzano le cuffie per adornare il capo; tutte le benestanti hanno abiti guarniti di nastri e fazzoletti e tingono con il colore rosso le gonne. Gli stracci ancora una volta coprono appena i bisognosi che non possono neppure rivolgersi ad istituzioni pubbliche per vestirsi.

Attraverso questi dati si ha la possibilità di conoscere sia le materie vegetali diffuse in questa provincia sia il limitato sviluppo dell’artigianato. Come precisa sempre Francesco Longano (1988), le materie prime presenti erano diverse e adeguate alla tessitura, come lana, canapa, lino, seta, cotone, ma l’artigianato era poco sviluppato. Erano quindi diffuse  le piantevegetali,ma solo i centri più importanti, come Isernia e Campobasso, si distinguevano per la loro lavorazione.

Nel caso di questo indicatore è importante il confronto con alcuni documenti del 1688 e del 1732 riguardanti la città di Campobasso che descrivono lo sviluppo dell’artigianato come tratto economico specifico di questo centro (Sarno, 2008). Questi  documenti sono apprezzi, cioè vere e proprie stime fiscali che descrivono Campobasso nei minimi particolari e illustrano che nella strada principale si susseguivano botteghe di artigiani che producevano abiti, cappelli e scarpe(11). Accanto a loro le donne lavoravano la lana, la seta e il cotone. Secondo questi documenti i campobassani avevano accresciuto, nel tempo intercorso tra il 1688 e il 1732, le loro competenze come esperti dell’abbigliamento, avevano rafforzato il collegamento tra la produzione della lana e della seta,  il lavoro di filatura delle donne e l’arte dei sarti (figura  6).

La stessa fonte  fornisce notizie sui monasteri che avevano funzioni importanti,  si relazionavano con i conventuali delle altre province ed erano parte integrante del circuito sociale di Campobasso proprio per la lavorazione della lana, infatti producevano le cappe per i frati della loro provincia e di quelle limitrofe.   “Uno sotto il titolo di S. Maria delle Grazie. In esso vi sta l’infermeria spaziana, essendo convenuto capo di provincia per convento di tutti gli altri monasteri che sono nella provincia suddetta, l’altro sotto il titolo di S. Giovanni. In esso si lavora la lana e si fa la fabbrica dei panni per conventi di tutti i paesi della provincia” (12).

Questo trend continua fino alla prima metà dell’Ottocento e  fa di Campobasso  centro attivo di specializzazioni artigianali.

Nell’altra città rilevante, Isernia, si era sviluppata un’altra specializzazione: la lavorazione dei merletti rinomati in tutto il Regno  perché lavorati con un filo di produzione locale di colore avorio e sottile che rendeva e rende tuttora il ricamo assai elegante. La tradizione risaliva al XVI secolo ed era stata insegnata dalle nobildonne alle popolane unitamente ad  una particolare tecnica: il tombolo. Le ricamatrici di Isernia producevano capi preziosi che erano esportati e richiamavano l’attenzione della nobiltà del regno.

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Figura 6 Donne molisane che filano con rudimentali macchine tessili.
Fonte: Pietravalle, 1979.

Dunque, i molisani producevano capi grezzi e semplici per sé stessi, necessari a coprirsi,  tranne che per particolari occasioni e per i pochi nobili locali, mentre il lavoro artigianale delle due città era soprattutto rivolto all’esportazione. Il fatto che la produzione manifatturiera fosse solo per un pubblico esterno alla provincia favorisce un limitato  sviluppo artigianale e solo nei centri più importanti come Campobasso e Isernia.

Si conferma, quindi, una qualità della vita povera e una produttività limitata e solo a favore della commercializzazione. Ciò che accade per l’abbigliamento, in realtà, si riflette anche in altri settori artigianali, specifici di questa terra, come la produzione di erbe aromatiche, realizzata da esperti di erbe che sfruttando la ricchezza della terra sapientemente le selezionavano e le vendevano,o quella della pasta fresca, prodotta dai maccaronai.

Proprio la Statistica del 1811 consente di conoscere che vi fossero ad Isernia ben quaranta maccaronaj. Successivamente  gli artigiani isernini organizzarono dei veri e propri pastifici onorando questa tradizione. Eppure, come si è visto nel precedente punto discusso, l’alimentazione dei molisani era estremamente povera. I capi d’abbigliamento e i merletti, insieme ad altri prodotti come le pergamene, o quelli alimentari, come la produzione di pasta fresca, arricchivano un manipolo di nobili e benestanti, mentre il popolo rimaneva in condizioni miserabili.

Tra la seconda metà del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, i prodotti artigianali insieme alla rivendita di grano fanno di Campobasso l’unica effettiva piazza mercantile del Molise. Se le fiere, secondo un’antica tradizione medievale, si svolgevano nel Mezzogiorno in modo diffuso, poche erano le grandi piazze fieristiche e una di queste era appunto la città molisana. A differenza delle città delle altre province, Campobasso però non emerge nel periodo rinascimentale, ma tardivamente cioè nel Settecento (Sarno, 2007). In questa città vi era  il  mercato bisettimanale e tre fiere che richiamavano i forestieri da ogni parte. Questa piazza mercantile puntava proprio sulle specializzazioni artigianali, sulla produzione del grano e sulla rivendita del bestiame, ma erano tutte merci preziose, ben poco a disposizione dei contadini e bisognosi.

I molisani, ancora una volta, si affaticavano per dissodare la terra, condurre gli animali al pascolo, lavorare le fibre vegetali, ma non si servivano dei loro prodotti che erano spesso rivenduti a forestieri provenienti dalle province vicine. Si arricchiva solo un piccolo gruppo di artigiani e commercianti, quelle persone comode che vivevano nelle case spaziose a due piani e potevano permettersi anche la pelliccia d’inverno; gli altri spesso ignoravano la bontà e l’utilità di certi prodotti che erano il risultato diretto o indiretto delle loro mani.

I redattori delineano un quadro chiaro di questi contrasti che emergono ancora più nitidamente quando affrontano l’importante tema della salute.


Il quarto indicatore: la salute

Il tema della salute e delle diverse patologie è ben trattato nella Statistica murattiana, perché i tecnici illustrano zona per zona, anzi comune per  comune, la situazione; la loro attenzione si ferma sulle forme endemiche diffuse:

a) febbri reumatiche;
b) febbri di mutazione (ossia la malaria);
c) malattie biliari;
d) malattie tiroidee;
e) lo scorbuto;
f) la diffusione della sifilide.

Le malattie diffuse sono quelle infettive, come il tifo o le febbri periodiche, nel primo caso dovute alla mancanza di igiene, all’uso di acqua infetta, alla scarsa pulizia degli abitati e della biancheria, nel secondo alle condizioni climatiche e alle abitazioni umide.

Nel circondario di Campobasso, nel Molise centrale, le malattie sono distinte a seconda dei comuni, perché ciascuno presenta una patologia specifica: le febbri reumatiche a Ferrazzano, le tiroiditi a Vinchiaturo e a Mirabello.

A Ferrazzano accade infatti che “essendo sotto di un colle fa sì che il clima non sia incostante per cui i cittadini individualmente devon assoggettarsi alla alternativa di caldo e freddo. E siccome la gente di campagna fa ritorno dai suoi poderi, i quali sono situati di sottoposto piano, molto riscaldata, e spesso bagnata di sudore, così sovente si vede sorgere una malattia dalla quale viene attaccata la maggior parte della popolazione” (13).

 E’ ben descritta la causa delle febbri reumatiche, dovute al clima e ai continui spostamenti dei contadini, che abitano su un’altura e hanno i campi nella zona sottostante per cui sono costretti al pendolarismo e alla quotidiana variazione di temperatura. L’ escursione termica subita finisce per provocare febbri e dolori articolari. Il problema è ovviamente per uomini e donne, così come la formazione del gozzo negli altri paesi, attribuita all’umidità dell’aria. Altro malanno, particolarmente grave, dovuto agli spostamenti in Puglia per la transumanza, sono le febbri di mutazione ovvero la malaria, che colpiscono chi vive vicino alle acque stagnanti o chi è costretto alla transumanza.

 La presenza delle malattie veneree è abbastanza diffusa, anche per l’ignoranza e la povertà degli abitanti che si rivolgono più ai ciarlatani che ai medici. Una sorta di libertà nei costumi si avverte per la diffusa presenza di bastardi che sono ben nutriti.

Per il circondario di Larino, nel Basso Molise, sono descritti in modo preciso le febbri di mutazione, causate dagli stagni del fiume Biferno. “I coloni di Larino, non che quelli di Montorio, di Ururi e San Martino, che trovandosi con le loro massarie di campo accanto a detto fiume, dovendo respirare quell’aria nociva durante il tempo della messe e della trebbia, e dovendosi anche pernottare, contraggono delle febbri dette di mutazione” (14). I contagi che avvengono in  terra di Puglia non riguardano solo la malaria ma anche la sifilide, i cui casi risultano in  aumento.

La sterilità appare ai redattori abbastanza diffusa in questi comuni, ma  essi illustrano che la miseria è il più forte ostacolo al concepimento ed i fatti lo provano, infatti nelle annate successive alle carestie i parti sono molto scarsi specialmente tra gli indigenti.

 I periti registrano anche vere e proprie oscillazioni negative nella natalità tra le comunità albanesi presenti sempre nel Basso Molise perché le vedove, pur giovani,  rifiutano le seconde nozze secondo le loro antiche tradizioni.

Come chiarisce sempre la documentazione, nel Molise occidentale, e precisamente nella città di Isernia, lo scorbuto è malattia endemica, dovuta alla cattiva alimentazione e alla carenza di vitamina C, benché secondo le conoscenze dell’epoca fosse causata dall’umidità delle abitazioni e i medici consigliassero l’aceto come farmaco. Anche in questa città coloro che sono transumanti sono soggetti a febbri malariche e nella zona sembra diffusa un’epidemia di vaiolo. Uno dei comuni di quest’area, Frosolone, si distingue però per la salubrità dell’aria, in quanto posto alle falde di una montagna, per la bontà dell’acqua e per la presenza di 14 mulini; qui si registrano solo alcuni casi di malattie reumatiche, che sono curate  con i salassi. Questo comune ottiene molta attenzione nell’inchiesta perché i suoi abitanti sono laboriosi e generalmente in buone condizioni economiche; essi hanno anche l’ospedale, tuttavia, danneggiato dal terremoto del 1805.

Nell’Alto Molise la rigidità del clima giustifica la diffusione delle febbri reumatiche, eppure  le “malattie endemiche compariscono nel mese di luglio di ciascun anno, a motivo che la maggior parte del ceto basso si porta nel mese di giugno a mietere nella Puglia dove per mancanza di comodi e a bere anche acqua cattiva dopo travagliato l’intera giornata si mette a dormire a ciel sereno esposto all’inclemenza dell’aria per cui si impedisce la traspirazione e cadervi in malattie acuite, biliose ed alle volte anche nel tifo maligno” (15).

Sono identificati i rischi derivanti dalla fatica e dalla quotidianità, spesso mancano gli ospedali per curare i poveri o gli orfani, tuttavia  i medici sono riusciti a convincere il popolo sull’utilità della vaccinazione contro il vaiolo. I redattori descrivono nei particolari le condizioni di salute dei molisani, gente abituata a sopportare la fatica nei campi e la rigidità del clima; alcune malattie dipendono dalla mancanza di igiene, altre dal pendolarismo. Benché vi siano differenze tra le diverse aree geografiche, i periti più volte riferiscono l’opinione dei medici che un buono stato di salute dipenda dall’alimentazione, dal tipo di lavoro e dall’abitazione.


Il quinto indicatore: le figure professionali sanitarie

La Statistica si sofferma a lungo sulla presenza nei diversi comuni di medici, chirurghi, ostetriche e poi speziali, cioè gli odierni farmacisti, e i salassatori. La cultura illuminista trova in queste figure professionali la sua affermazione: la scienza deve aprire nuove strade rispetto all’ignoranza e all’oscurantismo. Il medico non è solo una figura professionale, ma politica perché dovrebbe curare la malattie e trasmettere una visione scientifica della vita.

L’interesse governativo è ben preciso: conoscere la quantità e la qualità del personale medico e paramedico a disposizione di tutti. I periti si preoccupano di conteggiare le diverse figure professionali sia in relazione ai circondari sia ai singoli comuni per valutarne la disponibilità. Eccone un esempio:

“A Sepino vi sono tre medici e due chirurgi, due speziali di nome, due ostetrici; Morcone ha tre medici che fanno da chirurgi, tre spaziali, tre salassatori poco esperti e due ostetrici. Santa Croce ha tre medici, che esercitano la chirurgia, uno spaziale ma senza spazieria ed una ostretice; Sassinoro non ha né medici, né speziali ad uno solo si dà il nome di medico per appagare la fantasia de volgo ed una ostetrice” (16).

Vi sono circondari con un buon radicamento di medici e chirurghi, ad esempio 8-10. Meno presenti gli speziali e i salassatori probabilmente perché era meno richiesta la loro opera; queste sono figure poi scomparse nel tempo. Ogni comune ha almeno un medico e un’ostetrica, in qualche caso vi è solo l’ostetrica. E’ interessante che in alcuni comuni siano citati anche i barbieri perché si preoccupavano di cavare i denti o di curare le semplici ferite.

I periti non si permettono però valutazioni sulle diverse professionalità ad eccezione delle ostetriche che sono considerate  generalmente ignoranti; esse si rivolgono ai medici per parti particolarmente complicati, ma molto spesso fanno danni nel far nascere i neonati e danno consigli completamente errati alle partorienti come accade a Baranello:

“Le dannose prattiche che usano le mammane nei parti sono conseguenza della loro ignoranza. Esse ordinano il salasso alle partorienti senza distinzione (….). Non conoscono quali siano i dolori falsi e quali i veri e prendendo quelli per questi obbligano le partorienti a sforzi intempestivi che hanno conseguenze cattive” (17).

Non si registra la presenza di medici pubblici per curare i poveri, ma alcuni di essi sono comunque a disposizione anche di chi non può pagare.

 L’effettivo problema rilevato dai redattori è la presenza di ciarlatani a cui il popolo ignorante continua a rivolgersi soprattutto per le malattie sessuali derivanti dalla sifilide: qui agiscono preconcetti e pregiudizi che ricordano ancora la stregoneria medievale. In qualche caso ciarlatani e ostetriche sono posti sullo stesso piano e fanno uguale danno alla popolazione.

I medici garantiscono ai periti la diminuzione del vaiolo in quasi tutti i comuni, tranne in alcuni dove l’ignoranza condiziona i contadini o dove la vaccinazione ha prodotto effetti collaterali deleteri. La diffusione della vaccinazione è la vittoria della scienza sull’ignoranza e il segnale più incisivo di un cambiamento politico e culturale.

L’obiettivo dell’inchiesta in questo caso appare esplicito, in quanto i periti non solo raccolgono dati e informazioni, ma considerano i medici garanzia di buona salute e della diffusione del vaccino contro il vaiolo. Il loro impegno è considerato anche in prospettiva perché potrebbero fornire  informazioni sull’igiene personale, sulla manutenzione delle strade, sulla pulizia delle abitazioni e sull’organizzazione complessiva dei centri abitati. La continua segnalazione dell’ignoranza delle ostetriche e dei ciarlatani è strettamente collegata all’importanza del ruolo scientifico del medico sul territorio.


Il sesto indicatore: il ruolo delle donne

La Statistica non dà certo particolare rilievo alle donne, però i periti devono indagare sulla maternità e quindi aprono, tramite questo indicatore, la strada a conoscere la loro qualità della vita. Il quadro socio-ambientale che si sta ricostruendo è consono al periodo storico, nel quale il ruolo dell’uomo e della donna è omogeneo nella fatica e nella sofferenza. Tuttavia,  l’impegno femminile non è limitato solo ai lavori domestici, ma ad attività come il cucito, l’uso delle erbe aromatiche, fino alla durezza del lavoro nei campi e  alla conservazione dei cibi. E’ uno spettro ampio che si svolge tanto nell’ambito familiare, quanto all’esterno. La donna insomma vive le stesse condizioni maschili a cui aggiunge poi la sua specificità al femminile.

Se il punto di vista delle donne non è esplicitamente preso in considerazione, tuttavia la documentazione permette di conoscere in modo indiretto il genere di vita che esse conducevano, nel momento in cui si occupavano dei lavori dei campi e di quelli domestici: la preparazione del pane, la pulizia e l’ordine delle abitazioni, la scelta delle erbe aromatiche, la collaborazione continua con gli uomini. La loro fatica era rivolta a salare i cibi per conservarli e  a rendere saporite pietanze povere di valore nutritivo. A loro erano affidate l’organizzazione della convivenza nei tuguri, la necessità di raccogliere l’acqua alle fontane pubbliche,  la cura degli animali. Dovevano sostituire gli uomini che periodicamente si allontanavano  per lavorare in Puglia (figura  7). In più dovevano farsi carico di tessere gli abiti.

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Figura 7. Il lavoro femminile nelle campagne
Fonte: Pietravalle, 1979.

Impegno quotidiano era la preparazione del pane, generalmente di frumentone, per il quale era necessaria l’abilità femminile di mescolare “polenta condita  con grasso, olio, con menta ed altre erbe aromatiche”, che tuttavia procura malesseri ai “teneri figli dei contadini soggetti a coliche e  ad ostruzioni delle viscere naturali” (18).

La necessità di tessere panni caldi e di lana richiede fatica e il riferimento a loro lavoro è ben evidenziato: “La maggior parte di queste popolazioni vestono panni di lana travagliati in casa dalle proprie donne (...) lavorati nelle proprie case di diversi colori e decenti” (19).

In questo contesto sociale esse diventano protagoniste in relazione alla maternità. Se la fertilità è comunque diffusa, tuttavia, la fatica e la miseria appaiono ai tecnici le maggiori cause dell’eventuale sterilità e delle deficienze dei neonati. In questo caso è individuata la differenza sociale tra chi può condurre la maternità senza affaticarsi e chi invece debba continuare a lavorare; è chiarita anche la differenza nelle cure praticate alle partorienti e ai nati. Ecco che cosa accade a Larino:

“Le donne puerpere per quaranta giorni durante il puerperio usano dei riguardi nel trattamento del vitto e dell’aria; all’infuori di quelle infelici madri che oppressi dal bisogno sono a fretta ad abbandonare il letto e l’abitazione per procurargli il sostentamento per quale riflesso si rendono infelici unitamente con i loro parti, figli della miseria non godendo le madri una sufficiente dose di latte nel loro seno e i figli un retaggio di dolori e affanni”(20).

Nel momento nevralgico del parto, le poche donne benestanti sono avvantaggiate nel loro ruolo biologico, perché possono giovarsi della presenza del medico e non di ignoranti ostetriche e soprattutto non devono lavorare. Le altre sono costrette a lavorare fino al parto e subito dopo, senza fruire di cure adatte nel caso di parti difficili. In altri  paesi, quando le madri sono costrette a riprendere il lavoro nei campi subito dopo il parto, portano i piccoli con loro nelle campagne, li lasciano ovunque senza alcuna cura e attenzione, al sole o al freddo, per cui molti di essi muoiono.

I periti indagano pure con precisione pure le condizioni della sterilità: “Per parte delle donne può accedere la sterilità qualora sono deboli di costituzione, o con ostruzioni vasi uterini, soggette al flusso bianco, o gonorroico, da irregolarità o soppressione del flusso, o da cagioni morali, come se i coniugati sono in continuo disturbo d’animo, e tra loro manca il reciproco amore che può dirsela molla che eccita  in conseguenza alla generazione” (21).

Le cause sono indagate a diversi livelli: la miseria, l’eventuale diffusione delle malattie veneree, la mancanza di regolarità nel ciclo mestruale, infine vi sono i condizionamenti psicologici che non favoriscono la procreazione. La disamina avviene in maniera pacata, in base alle conoscenze dell’epoca tenendo presente anche la dimensione relazionale che può condizionare la donna fisicamente e psicologicamente.

Alcune annotazioni sono  dedicate alla specifica condizione delle partorienti e dei piccoli nati, soggetti entrambi, come si chiariva nel paragrafo precedente, alla ignoranza delle ostetriche. I neonati, per atavica tradizione, sono subito stretti in fasce con il rischio di soffocarli o danneggiarne la crescita; sempre per tradizione non sono sempre allattati dalla madre, ma da altre donne.

Per ogni area o comune emergono cause e situazioni diverse; nel circondario di Campobasso per quanto riguarda la sterilità si fa riferimento alla condizione sociale, infatti viene meno “l’energia dell’utero quale effetto prodotto dalla miseria la quale fa sì che mancandoli dovuto sostentamento si estingua la libidine” (22).

Ma ancora viene individuata la differenza tra le diverse condizioni sociali: “Il soverchio movimento che fanno massime le donne di campagna può benissimo impedire che l’uovo fecondato si abbarbichi all’interno dell’utero. All’opposto la delicatezza della donna di città fa sì che la bocca dell’utero si trovi sempre aperta (...). Il generale però io veggo che sono più prolifiche le donne che vivono con comodo, senza abusarne” (23). La sterilità è connessa anche alla sifilide di cui gli uomini sono colpiti maggiormente.

Nel circondario di Larino  si usano riguardi per le puerpere, purché se lo possano permettere, e ai piccoli si dà il latte della madre almeno per 18 mesi. Nel Molise occidentale, sempre nel comune di Frosolone, dove sono rarissimi i casi di sifilide, la fertilità ne è avvantaggiata anche perché i matrimoni si basano sull’affetto e sono contratti in giovane età; i neonati sono allattati e all’età di un anno svezzati con cibi leggeri.

 La vita delle contadine è dunque fondata sulla fatica quotidiana in casa e fuori, ma anche le benestanti, che possono permettersi aiuti, non devono sfuggire al loro ruolo biologico che è particolarmente delicato e importante agli occhi dei redattori.

La maternità assume una funzione nevralgica per la continuità della specie, per avere braccia nei lavori dei campi, per la vitalità sociale. Per questi motivi l’attenzione dei periti sembra voler indagare nel dettaglio le eventuali cause della sterilità perché quest’ultima rappresenterebbe la fine della società stessa. Le madri e i piccoli assumono finalmente in queste pagine un’importanza fino ad allora non riconosciuta: essi sono indicatori dello sviluppo umano di ciascun  territorio.


Conclusioni

Dalla Statistica emerge l’ampia diffusione della povertà, sia pure dignitosa, in Molise dove i contadini sopravvivono alla durezza della loro esistenza, che appare ancora più sofferta per  donne  e bambini. I bisognosi sono in una condizione di abbandono e non possono neppure sopravvivere, perché la miseria non  concede loro  neppure di generare figli. Uno sparuto gruppo di benestanti vive appartato nel proprio benessere che consente loro soprattutto un vitto più consistente e maggiori cure. Le malattie accomunano tutti, sebbene le condizioni di vita consentano alle persone comode di sopportarle meglio. Allo stesso modo le donne sono tutte soggette allo stress dei parti, ma chi è benestante affronta le sue funzioni biologiche con più forze e sostegno.

La documentazione puntualizza, nel complesso, due modi di manifestarsi della qualità della vita: una caratterizzata dalla sola sopravvivenza, una seconda fondata sul benessere alimentare e sulla disponibilità economica. Da questo punto di vista, le differenze tra contadini e bisognosi si attenuano perché i primi potevano avere sicuramente abitazioni più decenti, producevano panni di lana per coprirsi, avevano a disposizione alimenti per sopravvivere, ma non potevano accedere a manufatti elaborati come non si permettevano le carni o il pesce.

Lo spazio geografico del Molise, dunque, appare nel 1811 come uno spazio stigmatizzato dalla miseria e dalle nette differenze sociali, dipendente dalle richieste commerciali delle altre province. Si notano alcune differenze nelle compartimentazioni: l’Alto Molise appare, in quanto area prettamente montuosa, ricca d’acqua, maggiormente linda e pulita con una popolazione meno provata da malattie e Agnone come centro di un certo rilievo; gli abitanti del Basso Molise subiscono la diffusione della malaria e i disagi dei continui spostamenti dei transumanti in Puglia. I pochi centri con attività economiche significative sono Isernia e soprattutto Campobasso, perché un’agricoltura che stenta a diventare estensiva e i limiti nella commercializzazione finiscono per non soddisfare neppure gli stessi bisogni primari degli abitanti.

Lo studio condotto però non è solo utile per conoscere il Molise del 1811, ma anche per elaborare un modello, rappresentato di seguito  (figura 8), adeguato a analizzare questa importante e significativa testimonianza d’archivio:

Organigrama
Figura 8. Il modello euristico per studiare la Statistica murattiana

La documentazione richiede una lettura sistematica, fondata sulla raccolta sistematica dei dati in base a indicatori scelti in relazione agli obiettivi che sono all’origine dell’indagine. Gli esiti di siffatta raccolta consentono di operare ricostruzioni attendibili di spazi geografici e delle popolazioni ivi presenti.

Il Mezzogiorno italiano, tuttavia,  non si avvantaggiò di tanto lavoro perché la Restaurazione non si preoccupò delle condizioni della popolazione. La visione illuminista di porre la scienza al servizio della società non fu assunta come obiettivo politico. L’inchiesta è rimasta per molto tempo chiusa negli archivi e poco considerata soprattutto dal punto di vista geografico.

Eppure riassume una visione della vita innovativa: gli spazi geografici sono importanti per gli uomini che vi vivono, sono luoghi soggetti a trasformazioni e i cambiamenti dipendono dalla volontà umana, dalle conoscenze scientifiche, dallo sviluppo economico. La modernità del concetto di qualità della vita è permeata da un’ulteriore prospettiva: le condizioni dell’esistenza possono migliorare secondo la concezione illuminista del progresso. E’ attuale l’attenzione data al tema della salute, alle professioni sanitarie perché  è permeata da una visione scientifica e razionale, nella quale è esaltata la maternità come indicatore di sviluppo umano.

L’esempio proposto di analisi dell’area di studio si può estendere all’intero Mezzogiorno e mostra la sua validità scientifica perché la Statistica è una documentazione dinamica e innovativa per la visione ideologica che la sorregge.


Note

1. Il circondario è una suddivisione amministrativa, omogenea territorialmente, che comprende un gruppo di comuni.

2. Questo comune oggi appartiene ad un’altra regione italiana: la Campania.

3. Si fa riferimento a: L. Nauclerio, La terra di Campobasso, 1688 e G. Stendardo, La terra di Campobasso, 1742; sono due perizie che descrivono accuratamente la città di Campobasso, la prima depositata presso la Biblioteca Albino di Campobasso, la seconda presso l’Archivio di Stato di Napoli.

4. Inchiesta Murattiana, fascicoli dell’ Intendenza del Molise, 1811, Archivio di Stato di Campobasso.

5. Inchiesta Murattiana, fascicoli dell’ Intendenza del Molise, 1811, Archivio di Stato di Campobasso.

6. ) Inchiesta Murattiana, fascicoli dell’ Intendenza del Molise, 1811, Archivio di Stato di Campobasso.

7. Inchiesta Murattiana, fascicoli dell’ Intendenza del Molise, 1811, Archivio di Stato di Campobasso.

8. Inchiesta Murattiana, fascicoli dell’ Intendenza del Molise, 1811, Archivio di Stato di Campobasso.

9. Le carestie del 1760-1764  comportarono  particolari timori nella popolazione e spinsero a dissodare la maggior parte dei territori e a  promuovere il ruolo di granaio del Molise che si avvantaggiava degli scali sull’Adriatico di Termoli e Campomarino.

10. Statistica Murattiana, fascicoli dell’Intendenza del Molise, 1811, Archivio di Stato di Campobasso.

11. G. Stendardo, La terra di Campobasso, 1742.

12. G. Stendardo, La terra di Campobasso, 1742.

13. Statistica Murattiana, fascicoli dell’ Intendenza del Molise, 1811, Archivio di Stato di Campobasso.

14. Statistica Murattiana, fascicoli dell’ Intendenza del Molise, 1811, Archivio di Stato di Campobasso.

15. Statistica Murattiana, fascicoli dell’ Intendenza del Molise, 1811, Archivio di Stato di Campobasso.

16.  Statistica Murattiana, fascicoli dell’ Intendenza del Molise, 1811, Archivio di Stato di Campobasso.

17.  Statistica Murattiana, fascicoli dell’ Intendenza del Molise, 1811, Archivio di Stato di Campobasso.

18.  Statistica Murattiana, fascicoli dell’ Intendenza del Molise, 1811, Archivio di Stato di Campobasso.

19. Statistica Murattiana, fascicoli dell’ Intendenza del Molise, 1811, Archivio di Stato di Campobasso.

20. Statistica Murattiana, fascicoli dell’ Intendenza del Molise, 1811, Archivio di Stato di Campobasso.

21. Statistica Murattiana, fascicoli dell’ Intendenza del Molise, 1811, Archivio di Stato di Campobasso.

22. Statistica Murattiana, fascicoli dell’ Intendenza del Molise, 1811, Archivio di Stato di Campobasso.

23. Statistica Murattiana, fascicoli dell’ Intendenza del Molise, 1811, Archivio di Stato di Campobasso.


Bibliografia

Documenti

Statistica Murattiana, fascicoli dell’ Intendenza del Molise, 1811, Archivio di Stato di Campobasso Documentazione del Fondo Intendenza di Molise, 1814, Archivio di Stato di Campobasso

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© Copyright Emilia Sarno, 2011

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